Agricoltura – Semi di Scienza http://www.semidiscienza.it Mon, 28 Nov 2022 22:25:36 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8.10 http://www.semidiscienza.it/wp-content/uploads/2019/01/cropped-Semi-di-scienza-1-32x32.png Agricoltura – Semi di Scienza http://www.semidiscienza.it 32 32 Inquinamento da plastica sulle rive del fiume Durance: prima quantificazione e possibili misure ambientali per ridurlo http://www.semidiscienza.it/2022/09/05/inquinamento-da-plastica-sulle-rive-del-fiume-durance-prima-quantificazione-e-possibili-misure-ambientali-per-ridurlo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=inquinamento-da-plastica-sulle-rive-del-fiume-durance-prima-quantificazione-e-possibili-misure-ambientali-per-ridurlo http://www.semidiscienza.it/2022/09/05/inquinamento-da-plastica-sulle-rive-del-fiume-durance-prima-quantificazione-e-possibili-misure-ambientali-per-ridurlo/#respond Mon, 05 Sep 2022 11:32:42 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=1717

Di Tosca Ballerini

L’inquinamento da plastica è uno dei problemi più urgenti del nostro tempo, con impatti negativi sugli ecosistemi naturali, sulla salute umana e sul sistema climatico. L’identificazione dei principali rifiuti abbandonati nell’ambiente è essenziale per definire le priorità delle politiche ambientali volte a prevenire le perdite di plastica e a promuovere un’economia circolare.

Nell’articolo scientifico “Plastic pollution on Duranceriverbank: first quantification and possible environmental measures to reduce it” sono stati presentati i primi dati di abbondanza di macrorifiuti in tre siti sulla riva del fiume Durance e in un sito sulla spiaggia del lago Serre-Ponçon, nella Région SUD-Provence-Alpes-Côte d’Azur, nel sud-est della Francia, e sono state proposte delle misure ambientali per ridurre tale inquinamento.

Rifiuti di plastica: l’82% dei rifiuti

I dati sono stati raccolti attraverso la citizen science tra il 2019 e il 2020 e in totale sono stati classificati 25.423 rifiuti, di cui l’82% era costituito da plastica.

Gli articoli in plastica monouso corrispondono all’8,13% del totale, mentre le bottiglie di plastica monouso sono tra i primi 10 rifiuti in ogni sito.

L’abbondanza mediana di rifiuti in tutti i campioni è di 2.081 oggetti/100 m, due ordini di grandezza superiore al valore soglia precauzionale stabilito dal gruppo di esperti sul marine litter dell’UE per i rifiuti marini (20 oggetti/100 m).

Per la maggior parte gli oggetti (74,83%) erano piccoli e non identificabili. Pezzi di polistirolo, plastica morbida e plastica rigida hanno rappresentato la maggior parte dei rifiuti in totale (56,63%) e in tre dei siti di studio. I pezzi di vetro corrispondevano al 15,83% del totale dei rifiuti.

Frammenti di teli per la pacciamatura, biomateriali in plastica per il trattamento delle acque e bottiglie monouso

I pezzi di plastica morbida sono la categoria di rifiuti più abbondante in assoluto e corrispondono al 58,85% dei rifiuti in uno dei siti di campionamento lungo l’argine del fiume Durance, situato in una zona agricola, il che suggerisce la loro provenienza da pellicole di pacciamatura agricola.

Tra gli elementi identificabili, i più abbondanti sono stati i biomateriali in plastica utilizzati negli impianti di trattamento delle acque reflue e le bottiglie per bevande monouso in plastica e in vetro.

Lo sviluppo di schemi di responsabilità estesa del produttore per le pellicole di pacciamatura e i biomediali di plastica e di Sistemi di Deposito Cauzionale per le bottiglie di bevande monouso è suggerito come un modo per prevenire le perdite nell’ambiente.

Il lavoro conferma l’opportunità di utilizzare la citizen science per raccogliere dati sul macrolitter e monitorare l’efficacia delle normative ambientali per ridurre l’inquinamento da plastica.

Cosa possono fare i comuni?

I comuni possono limitare in modo significativo l’inquinamento da plastica sul loro territorio attraverso lo sviluppo di strategie integrate che includano appalti pubblici ed esemplarità, nonché l’animazione territoriale. Ad esempio, possono vietare l’uso di prodotti SUP negli edifici ed eventi pubblici e nei luoghi turistici naturali (analogamente a quanto avviene nelle cosiddette “plastic free beaches”), promuovendo al contempo le imprese che decidono volontariamente di ridurre l’uso di imballaggi monouso.

Le strategie di riduzione dell’inquinamento da plastica che possono essere messe in atto dai Comuni includono anche la prevenzione della produzione di rifiuti di plastica e la promozione del riutilizzo; la promozione del consumo di acqua di rubinetto nel proprio territorio; il miglioramento delle infrastrutture di gestione delle acque reflue e delle acque meteoriche per preservare il ciclo dell’acqua dall’inquinamento da plastica; il miglioramento della raccolta e del riciclaggio dei rifiuti di plastica; la riduzione dell’inquinamento da plastica a livello locale attraverso le operazioni di pulizia, che, pur non essendo una soluzione all’inquinamento da plastica in quanto agiscono a valle del problema, hanno il vantaggio di sensibilizzare le persone sulle questioni sollevate dai rifiuti di plastica e di raccogliere dati utili per orientare la strategia locale contro l’inquinamento da plastica.

Per saperne di più:

Ballerini T, Chaudon N, Fournier M, Coulomb J-P, Dumontet B, Matuszak E and Poncet J (2022) Plastic pollution on Durance riverbank: First quantification and possible environmental measures to reduce it. Front. Sustain. 3:866982.

https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/frsus.2022.866982/full

Tosca Ballerini: tosca.ballerini@thalassa.one

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Desertificazione, siccità e cambiamento climatico: dobbiamo iniziare a pensare come la formica di Esopo http://www.semidiscienza.it/2022/07/01/desertificazione-siccita-e-cambiamento-climatico-dobbiamo-iniziare-a-pensare-come-la-formica-di-esopo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=desertificazione-siccita-e-cambiamento-climatico-dobbiamo-iniziare-a-pensare-come-la-formica-di-esopo http://www.semidiscienza.it/2022/07/01/desertificazione-siccita-e-cambiamento-climatico-dobbiamo-iniziare-a-pensare-come-la-formica-di-esopo/#respond Fri, 01 Jul 2022 16:59:26 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=1689

Di Camilla De Luca e Yuri Galletti

Il 17 Giugno è il giorno dedicato dalle Nazioni Unite (ONU) alla lotta alla desertificazione e alla siccità.

Ma cosa indica la parola desertificazione? Rappresenta il fenomeno relativo all’espansione dei deserti esistenti?

No, se facciamo riferimento alla definizione data dall’ONU: “La desertificazione è la degradazione della terra che viene trasformata in aree aride, semi-aride e sub-umide. Essa è causata principalmente dalle attività umane e dalle variazioni climatiche”. Si tratta quindi da un lato di una conseguenza dell’uso improprio della terra, attraverso per esempio la deforestazione, il sovrasfruttamento della risorsa suolo e le cattive pratiche di irrigazione, le quali riducono la produttività del terreno. Dall’altro lato, la desertificazione, così come la siccità, sono una conseguenza del cambiamento climatico. Secondo una ricerca pubblicata su Nature, infatti: “il cambiamento climatico antropogenico ha degradato il 12,6% (5,43 milioni di km2) delle zone aride, contribuendo alla desertificazione e colpendo 213 milioni di persone, il 93% delle quali vive in economie in via di sviluppo”.

Il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres si è espresso in occasione della giornata insistendo sul fatto che entro metà secolo tre quarti della popolazione potrebbe dover convivere con la siccità e che attualmente metà della popolazione globale sta già facendo fronte alle problematiche derivanti dalla degradazione del suolo. La situazione non è infatti migliorata negli ultimi tempi: al contrario secondo i dati pubblicati dalla UNCCD (Convenzione delle Nazioni Unite per Combattere la Desertificazione) “dal 2000 il numero e la durata degli eventi siccitosi è aumentato del 29% a livello mondiale”. Le conseguenze umane sono già evidenti: 2.3 miliardi di persone fanno già fronte a emergenze legate all’accesso all’acqua. L’ONU sottolinea che sempre più persone dovranno far fronte alla scarsità di acqua, UNICEF ( United Nation Children’s Fund) stima che 1 bambino su 4 entro il 2040 non avrà accesso diretto alla risorsa acqua. “Nessun paese è immune alla siccità”  è ciò che è stato detto da UN-Water nel 2021.

Se queste informazioni non sono bastate a farci percepire come parte del problema e come popolazioni a rischio, ecco una serie di dati attuali sull’Italia che forse ci faranno cambiare idea.

Proprio in questi giorni si parla di emergenza siccità in tutto il Nord Italia, dal Veneto alla Lombardia alla Valle D’Aosta al Piemonte, la regione della valle del Po, ovvero la più colpita, ma in realtà è un problema comune in quasi tutta la penisola. Il portale Rinnovabili.it sottolinea come nei primi cinque mesi del 2022 le piogge si siano ridotte del 44% e come l’osservatorio ANBI (Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue) abbia denunciato l’importante diminuzione dei flussi dei fiumi Arno, Ombrone, Sentino, Nera ed Esino. In Lazio si è cominciato quindi a parlare di razionamento dell’acqua potabile, mentre nel comune lombardo di Tradate un’ordinanza comunale prevede sanzioni per chi utilizza l’acqua potabile per scopi diversi dall’uso essenziale come riempire piscine e lavare l’auto. Il caso della Puglia aggiunge il calo della produzione agricola e il rischio di incendi alla casistica di conseguenze possibili dovute alla siccità. La Gazzetta del Mezzogiorno, citando sempre i dati di ANBI, descrive come per via dell’anticiclone africano e della ridotta capacità idrica della regione (ad aprile sono caduti 160 millimetri in meno di pioggia rispetto ai valori del 2020) il rischio siccità sia molto elevato. Ciò, secondo Coldiretti Puglia, metterebbe a rischio il 30% di produzione agricola, la produzione di colture destinate agli animali e l’irrigazione di oliveti e frutteti. Coldiretti sottolinea poi come le alte temperature, l’assenza di precipitazioni e l’abbandono dei campi di ulivi per via del patogeno batterico Xylella siano un fattore determinante per l’inaridimento del suolo e delle piante e quindi un fattore che aumenta considerevolmente il rischio di incendi. 

Luca Mercalli, noto meteorologo, su Il Fatto Quotidiano sottolinea come secondo le previsioni meteorologiche a scala stagionale queste temperature sopra la media e la scarsità di precipitazioni saranno costanti per tutta l’estate. Ciò metterà a rischio le nostre riserve d’acqua già ad oggi limitate. Per questo motivo il climatologo denuncia la necessità di ascoltare la scienza. Infatti climatologi e idrologi avevano previsto questi fenomeni da almeno un trentennio. Inoltre, sempre il noto divulgatore suggerisce di preparare delle strategie di gestione multifunzionale a livello nazionale delle risorse idriche che prevedano la riparazione degli acquedotti e la costruzione di invasi di raccolta di acque meteoriche, abbondanti in certe stagioni, per utilizzarle durante i periodi di siccità.

Di fronte a questi dati non bisogna però scoraggiarsi. Al contrario, vi invitiamo a rileggere il primo paragrafo di questo articolo: “la desertificazione è causata prevalentemente dalle attività umane e dal cambiamento climatico”. Dunque, citando il Segretario Generale delle Nazioni Unite:  “dobbiamo e possiamo invertire questa spirale discendente”.

Secondo l’ONU la giornata del 17 giugno è un momento unico per ricordare che eliminare il danno causato dalla nostra società alla terra è possibile, attraverso un approccio “di problem-solving, un forte coinvolgimento della comunità e una cooperazione a tutti i livelli”. Prenderci cura della terra, della sua produttività, della biodiversità e per esempio favorire l’accesso alla proprietà terriera alle donne può inoltre permettere di far fronte alla crisi climatica e può contribuire al raggiungimento degli obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030, poiché ciò rappresenta anche un grande fattore di sviluppo per le comunità agricole e per le donne di tali comunità.

Qual è il messaggio principale che possiamo ricavare da questo articolo? Citando una famosa fiaba di Esopo, dovremo cominciare a pensare come la formica e smettere di pensare come la cicala. Dovremmo pensare al futuro e cominciare fin da subito a utilizzare in modo intelligente le risorse scarse che abbiamo a disposizione.

Fonti:

https://www.nature.com/articles/s41467-020-17710-7

https://www.un.org/press/en/2022/sgsm21325.doc.htm

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/1344333/siccita-in-puglia-57mln-metri-cubi-di-acqua-negli-invasi-ad-aprile-160mm-di-pioggia.html

https://www.un.org/en/observances/desertification-day

https://laprovinciapavese.gelocal.it/pavia/cronaca/2022/06/16/news/cia-e-confagricoltura-subito-lo-stato-d-emergenza-per-la-siccita-e-serve-un-commissario-straordinario-1.41515194

https://milano.corriere.it/notizie/lombardia/22_giugno_16/siccita-lombardia-regione-chiede-stato-emergenza-tradate-multe-chi-innaffia-giardini-lava-l-auto-8e767f54-ed69-11ec-96f8-928391ee2cf6.shtml

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/06/16/la-fisica-non-mente-ci-restano-10-anni/6628604/

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Il Luppolo, una risorsa per tutti e per tutte le stagioni http://www.semidiscienza.it/2022/05/17/il-luppolo-una-risorsa-per-tutti-e-per-tutte-le-stagioni/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-luppolo-una-risorsa-per-tutti-e-per-tutte-le-stagioni http://www.semidiscienza.it/2022/05/17/il-luppolo-una-risorsa-per-tutti-e-per-tutte-le-stagioni/#respond Tue, 17 May 2022 15:49:03 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=1673 di Matteo Bo

Con la primavera arrivano le fioriture e la natura si appresta a ripartire dal torpore invernale. L’emergenza climatica, anno dopo anno, minaccia la regolarità dei cicli di vita degli ecosistemi locali, ma, dopo molte settimane di siccità, qualche segnale di speranza sembra arrivare in questi giorni anche nel Nord Italia.

E la speranza riparte da uno degli appuntamenti fissi di stagione. È partita infatti la caccia ai germogli del luppolo detti anche impropriamente asparago selvatico o, nel dialetto piemontese, luvertin: una pianta davvero molto interessante con innumerevoli usi in cucina e non solo, per tutte le stagioni.

Da non confondere con altri rampicanti, questi sinuosi e snelli “asparagi” appartengono a quella tradizione ancora popolare di erbe spontanee (come l’ortica o il tarassaco) la cui raccolta primaverile in campagna e nei terreni incolti porta alla realizzazione di ottime pietanze quali frittate, risotti, insalate e minestre.

E allora perché non cimentarsi nella più classica delle ricette ovvero proprio la frittata di luvertin tipica delle valli piemontesi? Dal sito https://invalpellice.com/frittata-di-luvertin/, da cui “rubiamo” anche l’immagine di copertina, anche gli aspiranti chef meno esperti potranno trovare gli utili riferimenti per questa semplice ricetta che in pochi minuti porterà in tavola un gustoso antipasto in 3 semplici mosse:

  • In una padella antiaderente mettere un cucchiaio di olio di oliva, aggiungere le cime di luvertin tagliate a pezzi della lunghezza di 2-3 centimetri e lasciare appassire il tutto a fuoco lento;
  • Quando i germogli saranno appassiti metterli in una ciotola e mescolare con tutti gli altri ingredienti, come per fare una frittata ordinaria;
  • Quando il composto sarà mescolato in modo omogeneo versarlo nella padella usata in precedenza per appassire i germogli e cuocere da ambo i lati a fuoco vivace.

Ma il luppolo è molto altro… come uno degli ingredienti più noti della birra! Se i germogli sono infatti i protagonisti dell’inizio della primavera, i fiori lo sono dei mesi successivi. Il loro ruolo è quello di conservare e fornire il tipico aroma amaro nella produzione della nota bevanda. Il sottoprodotto protagonista è noto con il nome di luppolino, ovvero la polvere resinosa di color giallo intenso derivata dall’essiccazione delle infiorescenze femminili. Il luppolo poi è base anche di liquori e infusi dalle proprietà calmanti (con target sul sonno e sul benessere dell’apparato digerente).

Andando verso l’estate, i frutti sono noti altresì come agente di lievitazione nell’ambito della panificazione. Gli usi poi si estendono per le piante mature, grazie a fusti di estensione fino a 5 m di altezza e un imponente apparato radicale, a quelli non alimentari quali l’intreccio dei canestri o la tintura marrone (previa bollitura). Da citarsi infine l’uso ornamentale, in particolare della varietà del luppolo dorato (in botanica Humulus lupulus Aureus) tenendo sempre in considerazione che si tratta di una pianta rampicante spontanea e molto rigogliosa.

E dunque perché non sognare ulteriori utilizzi grazie a quel filone produttivo di riscoperta delle tradizioni ed evoluzione delle tecnologie e tecniche, che è sempre più correlato con gli ecosistemi locali come ampiamente riconosciuto per gli usi di un’altra pianta molto versatile qual è la canapa?

Per approfondire:

– “Erbe e piante selvatiche in cucina” (2014) di G. Peroni, C. Bonalberti, A. Peroni, P. Macchione

– “Guida pratica alle piante officinali. Osservare, riconoscere e utilizzare le più diffuse piante medicinali italiane ed europee” (2011) di G. Bulgarelli, S. Flamigni

https://associazioneitalianaluppolo.wordpress.com/

https://tuttopiante.net/luppolo-dorato-o-humulus-lupulus-aureus-coltivazione-esposizione-irrigazione-e-concimazione

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Le catene di produzione-distribuzione-consumo del cibo del futuro: Ripensare sistemi alimentari più sostenibili, resilienti ed inclusivi http://www.semidiscienza.it/2021/05/11/le-catene-di-produzione-distribuzione-consumo-del-cibo-del-futuro-ripensare-sistemi-alimentari-piu-sostenibili-resilienti-ed-inclusivi/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=le-catene-di-produzione-distribuzione-consumo-del-cibo-del-futuro-ripensare-sistemi-alimentari-piu-sostenibili-resilienti-ed-inclusivi http://www.semidiscienza.it/2021/05/11/le-catene-di-produzione-distribuzione-consumo-del-cibo-del-futuro-ripensare-sistemi-alimentari-piu-sostenibili-resilienti-ed-inclusivi/#respond Tue, 11 May 2021 11:37:37 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=1388 La pandemia da Covid-19, fra le molte altre questioni, ha messo in evidenza l’importanza del corretto funzionamento del sistema alimentare per il benessere della popolazione.

Il corto circuito nelle catene di approvvigionamento, dovuto alle restrizioni nei movimenti dei lavoratori e dei distributori, ha colpito le città e in maniera particolare la popolazione più vulnerabile al loro interno, come gli anziani e le famiglie che vivono in condizioni di povertà.

Il problema si è verificato in modo più evidente nei paesi in via di sviluppo, ma si è manifestato anche in città di paesi sviluppati come il nostro, per esempio nel comune di Milano.

La questione è anche più complessa di come può già apparire. Le dinamiche del cambiamento climatico, infatti, aggraveranno i possibili problemi di distribuzione emersi da shock come la pandemia, aggiungendo delle difficoltà nei sistemi di produzione. Molto probabilmente l’aumento della temperatura terrestre avrà un effetto sui rendimenti delle colture sia in termini quantitativi, sia qualitativi (ciò determinerà per esempio la perdita del contenuto nutrizionale di alcuni alimenti). Tale impatto andrà a toccare soprattutto le aree più fragili come l’Africa sub-Sahariana e meridionale, l’America centrale e meridionale e il Sud-Est asiatico, ma di fatto toccherà anche i paesi sviluppati se le temperature supereranno una certa soglia.

Tenendo ciò a mente e considerando che:

  • il 55% della popolazione vive in aree urbane e che tale percentuale dovrebbe raggiungere il 68% nel 2050 (dati FAO),
  • il 70% della domanda di alimenti proviene dalle città,
  • i consumatori urbani non sono autosufficienti nel provvedere alla loro nutrizione, per cui saranno maggiormente colpiti dal possibile aumento del prezzo dei beni alimentari, dovuto a una contrazione dell’offerta sui mercati alimentari come conseguenza degli shock climatici,

sarebbe necessario ripensare i sistemi alimentari attuali, per esempio rafforzando i legami fra aree rurali e urbane, creando sistemi equi e inclusivi di produzione-distribuzione-consumo del cibo nelle città e sfruttando le soluzioni offerte dall’innovazione tecnologica e dall’agricoltura urbana.

Sono alcuni degli obiettivi che si è posta la Food and Agriculture Organization (FAO) delle Nazioni Unite, i quali sono stati accolti da alcune città, fra le quali il comune di Milano, che si sono impegnate a “sviluppare sistemi alimentari sostenibili che siano inclusivi, resilienti, sicuri e diversi, che forniscano cibo sano e accessibile a tutte le persone in un quadro basato sui diritti umani, che minimizzino i rifiuti e conservino la biodiversità adattandosi e mitigando gli impatti del cambiamento climatico”.

Per approfondire sul tema:

Autrice: Camilla De Luca – Socia Semi di Scienza & Progetto Cambiamo

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Primo: difendi la terra http://www.semidiscienza.it/2021/04/06/primo-difendi-la-terra/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=primo-difendi-la-terra http://www.semidiscienza.it/2021/04/06/primo-difendi-la-terra/#respond Tue, 06 Apr 2021 17:17:24 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=1323 Nel momento in cui si sta redigendo un Piano di ripresa e resistenza (PNRR) all’insegna di un’uscita “verde” dalla crisi pandemica, c’è chi propone la costruzione di logistiche su terreni agricoli: un esempio è in provincia di Pavia, dove i progetti proposti sono ben 5 (http://www.cnapavia.it/lassedio-delle-logistiche…/). Se realizzati, condannerebbero migliaia di ettari produttivi all’infertilità per i prossimi secoli. Un esempio locale specchio di un inveterato malcostume nazionale che non accenna a fermarsi. Secondo l’ultimo Rapporto ISPRA riferito al 2019, infatti, l’italico autocannibalismo consuma 2 metri quadrati di suolo al secondo, 21 campi di calcio al giorno, 57,2 Km quadrati in un anno (https://webgis.arpa.piemonte.it/secure_apps/consumo_suolo_agportal/index.html).

La terra però non soffre solo quando viene ricoperta di cemento o asfalto, lo fa anche quando la si intossica con pesticidi e fertilizzanti che fanno piazza pulita dell’universo di creature (dai lombrichi a tantissime specie di microrganismi) che, vivendo nei primi strati di suolo, sono le vere fattrici della sua fertilità.

Ma una volta che sia stata cementificata, asfaltata, prosciugata del suo humus, alla terra occorrono da cento a mille anni per riformare un centimetro di terreno fertile, duemila per rigenerarne 10 centimetri (https://www.terranuova.it/News/Agricoltura/Federbio-In-Italia-si-perdono-2-metri-quadri-di-suolo-al-secondo, https://www.terranuova.it/News/Agricoltura/Erosione-cemento-inquinamento-ogni-mezz-ora-persi-500-ettari-di-suolo).

Quindi, per realizzare un mondo davvero sostenibile c’è bisogno innanzitutto di terra, tanta e buona: meno cemento e asfalto e meno agricoltura intensiva, più terra ricca di suo e più agricoltura sana (https://www.lanuovaecologia.it/la-terra-vale-di-piu-se-lasciata-selvaggia/?fbclid=IwAR3_osFf9nLeK0rmGECgstT9r0KWt7qXGCeWY2q6l1drK4Tp8_Gc9aV9dLI). Come peraltro previsto dall’iniziativa europea “Farm to fork”.

autrice: Cinzia Tromba, referente scientifica del progetto “CAMBIAMO di Garbriele Porrati”.

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Indicatori di efficienza del cibo http://www.semidiscienza.it/2020/10/14/indicatori-di-efficienza-del-cibo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=indicatori-di-efficienza-del-cibo http://www.semidiscienza.it/2020/10/14/indicatori-di-efficienza-del-cibo/#respond Wed, 14 Oct 2020 15:32:53 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=1164 Impronta ecologica

Impronta di carbonio (emissioni di gas serra)

Impronta idrica

Fonti: 1) Mekonnen and Hoekstra (2010, 2012) – Water Footprint Network
2) Ewing B. et al. – The Ecological Footprint Atlas 2010
3) GFN Global Footprint Network 4) Barilla Center for Food and Nutrition, 2001

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Gli OGM: una questione controversa http://www.semidiscienza.it/2020/03/21/gli-ogm-una-questione-controversa/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=gli-ogm-una-questione-controversa http://www.semidiscienza.it/2020/03/21/gli-ogm-una-questione-controversa/#respond Sat, 21 Mar 2020 10:01:12 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=885 Per OGM si definiscono gli organismi geneticamente modificati, il cui DNA è stato alterato grazie a tecniche di ingegneria genetica. Gli OGM possono essere piante, animali o microrganismi, e nella nostra società hanno trovato applicazione prevalentemente nel settore agroalimentare.

Sin dall’antichità, l’Uomo ha sempre praticato la modificazione genica, al fine di produrre dei nuovi esseri viventi che fossero dotati di caratteristiche utili, da cui trarre vantaggio materiale e/o economico. Questa pratica però non è sempre stata svolta in maniera consapevole. Infatti, i nostri antenati selezionavano le piante coltivate che manifestavano le caratteristiche migliori in termini di morfologia e sviluppo, ma ignorando completamente che tali proprietà erano “scritte” all’interno delle cellule delle piante stesse. È soltanto nella prima metà del Novecento che l’Uomo ha preso consapevolezza che le pratiche di selezione avevano un effetto a livello genetico. Questa consapevolezza ha favorito l’emergere di un nuovo approccio attraverso il quale creare organismi “migliorati” sfruttando le moderne tecniche di ingegneria genetica. La prima tecnica fu scoperta dal microbiologo svizzero Wener Arber, che è considerato il pioniere degli OGM. Egli scoprì i cosiddetti “enzimi di restrizione” che sono enzimi di origine batterica capaci di tagliare sezioni di DNA. Questa scoperta ha creato la possibilità di rimuovere pezzi di materiale genetico da un essere vivente e trasferirli ad un altro, anche appartenente ad una specie diversa o, addirittura, ad un regno diverso. Fu nel 1973 che gli scienziati statunitensi Stanley Cohen e Herbert Boyer crearono il primo OGM, inserendo un gene di una rana all’interno di Escherichia coli; un comune batterio che vive nell’intestino degli animali a sangue caldo.

Ma com’è possibile, nella pratica, produrre un OGM? Spesso sentiamo parlare di questi fantomatici organismi tramite i media, ma in effetti non esiste molta informazione a riguardo. Fatta questa premessa, la produzione di un OGM prevede le seguenti fasi:

  1. Isolamento del gene che deve essere trasferito: Questo è possibile grazie agli “enzimi di restrizione” scoperti da Wener Arber che, come spiegato in precedenza, sono capaci di tagliare sezioni di DNA. Esistono diversi tipologie di questi enzimi, ciascuna delle quali è in grado di creare frammenti genici specifici.
  2. Inserimento del gene isolato in un vettore: Una volta isolato il frammento di DNA, esso viene inserito in un vettore molecolare, che può essere un virus o un batterio. Talvolta, il vettore molecolare è una cellula vegetale o animale. Il gene isolato viene inserito nel vettore molecolare tramite diverse tecniche come l’elettroporazione (applicazione di shock elettrici alle cellule in modo da renderle permeabili), il metodo biolistico (il DNA viene “sparato” dentro le cellule da trasformare) e l’utilizzo dell’Agrobacterium tumefaciens (un batterio che infetta le radici delle piante provocando dei cancri).
  3. Trasferimento del vettore in una cellula germinale dell’organismo target: in modo da trasferire il gene nel DNA dell’organismo ospite, il quale diventerà ufficialmente un OGM.

Ma per quale motivo gli OGM fanno tanto parlare di sè? Perchè la creazione di questi nuovi organismi ha scatenato ondate di polemiche? Come spesso accade nella storia, la comparsa di una nuova tecnologia avviene per rispondere a reali esigenze della società, che vengono quasi sempre soddisfatte in seguito alla realizzazione della tecnologia stessa, ma producendo effetti imprevedibili. Gli OGM non fanno eccezione a questa dinamica, per cui hanno portato sia a benefici che problematiche:

BENEFICI DEGLI OGM: L’introduzione degli organismi geneticamente modificati ha trovato applicazione principalmente nel settore agricolo. Basti pensare al “Mais Bt” e alla “soia Roundup Ready” (detta anche “soia RR”). Il primo ha la capacità di resistere alle larve della piralide; una farfalla responsabile di gravi perdite di resa. La seconda ha la capacità di resistere al glifosato durante i trattamenti erbicidi di copertura (che vengono fatti quando la coltura è in campo), permettendo un migliore controllo delle piante infestanti. Secondo il Food and Drug Law Journal; una importante rivista statunitense; il mais OGM aiuterebbe a prevenire i quantitativi di alcune micotossine; che sono sostanze cancerogene per gli esseri umani. L’accademia dei Georgofili Italiana ha riportato che le coltivazioni di mais ingegnerizzato abbiano portato ad una netta diminuzione delle popolazioni di piralide nella Corn Belt Americana. Questo ha avuto ripercussioni positive anche sul mais convenzionale, che ha subìto minori attacchi dell’insetto.

PROBLEMI DEGLI OGM: Una delle polemiche più rilevanti è il rapporto tra OGM e sicurezza alimentare. Sebbene non esistono prove scientifiche di danni alla salute umana, i meccanismi di interazione tra gli alimenti OGM e la nostra fisiologia risultano ancora sconosciuti. Alcune organizzazioni come Greenpeace ritengono che il livello di investigazione per determinare i rischi degli OGM per la salute umana non sia sufficiente. L’EFSA (l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ha dichiarato che i cibi transgenici possono potenzialmente portare a reazioni allergiche, in quanto contengono proteine modificate.

Un’altro argomento molto discusso riguarda il rapporto con l’ambiente. Infatti, non è ancora chiaro come le piante ingegnerizzate interagiscono con l’ecosistema circostante. Per esempio, è chiaro come il mais Bt interagisce con la piralide, ma come reagisce con gli altri insetti? Coi batteri del suolo? E con le altre piante? Immaginiamo che una pianta di mais Bt, o di soia Roundup Ready, si incroci accidentalmente con un’altra simile, e la pianta figlia riesca a sopravvivere e produrre migliaia di semi… al quel punto avremmo una miriade di piante OGM sconosciute nel nostro ambiente.

Ma quindi gli OGM sono un bene o un male? Per rispondere a questa ipotetica domanda concludiamo con una citazione: “Il problema non è la tecnologia ma l’uso che se ne fa, ogni cosa comporta dei rischi, l’importante è esserne consapevoli e valutare se il prezzo che paghiamo è adeguato a quanto riceviamo in cambio”. Stefano Nasetti

Autore: Simone Rossi, PhD., Agronomo.

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Lo spreco alimentare: analisi di un fenomeno complesso e sottostimato http://www.semidiscienza.it/2019/10/15/lo-spreco-alimentare-analisi-di-un-fenomeno-complesso-e-sottostimato/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=lo-spreco-alimentare-analisi-di-un-fenomeno-complesso-e-sottostimato http://www.semidiscienza.it/2019/10/15/lo-spreco-alimentare-analisi-di-un-fenomeno-complesso-e-sottostimato/#respond Tue, 15 Oct 2019 13:33:08 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=687 Per spreco alimentare si intende lo scarto volontario di cibo ancora adatto al consumo umano, che può verificarsi in tutte le fasi di produzione, dalla raccolta in campo al frigorifero domestico. Nella società odierna, lo spreco alimentare ha assunto proporzioni impressionanti. I dati parlano molto chiaramente. Secondo le statistiche della FAO (l’organizzazione dell’ONU che si occupa di agricoltura ed alimentazione) ogni persona che vive nei paesi industrializzati scarta mediamente dai 95 ai 115 kg all’anno, che equivale ad oltre 1/3 del cibo prodotto nel mondo. Questo è un grande paradosso dei nostri tempi, soprattutto se pensiamo che attualmente oltre 800 milioni di persone nel mondo soffrono di denutrizione, mentre oltre 600 milioni sono affette da obesità. Inoltre, negli ultimi anni il divario tra il numero di persone sottonutrite e quelle in sovrappeso sta aumentando sempre di più, a dimostrazione della perversità del fenomeno. Nello spreco alimentare occorre non considerare solo il cibo, ma anche tutte le risorse necessarie per produrlo come acqua, suolo, lavoro umano (sia manuale che organizzativo) e macchine agricole. Bisogna poi aggiungere l’inquinamento ambientale causato dai fertilizzanti, pesticidi e gas serra emessi dalle machine agricole.

A causa dell’impatto negativo dello spreco alimentare nel mondo, numerose ricerche sono state condotte per capire quali sono le principali cause risalenti a questo fenomeno. Secondo i dati della FAO, gli sprechi nelle fasi della filiera ammontano alle seguenti percentuali: coltivazione e raccolto=54%, trasformazione industriale=11%, distribuzione e vendita=13%, consumo domestico=22%. Analizziamo le fasi una per una:

1) Coltivazione e raccolto. Durante questa prima fase le piante in campo sono continuamente esposte a molti fattori che possono danneggiarle o addirittura eliminarle (siccità, piogge eccessive, grandine, insetti dannosi, funghi e virus). A tutto questo si aggiunge l’intervento dell’agricoltore, che può commettere errori nelle sue scelte gestionali (semina nel periodo sbagliato, concimazioni carenti, irrigazioni inadeguate, trattamenti antiparassitari eseguiti scorrettamente, etc.). Tutti questi fattori contribuiscono ad uno spreco alimentare di primo livello.

2) Trasformazione industrial. Durante questa fase i prodotti raccolti sono trasportati dal campo alle fabbriche per essere processati e trasformati. Può accadere che, a causa di inefficienze nei processi di lavorazione e malfunzionamenti tecnici, gli alimenti subiscano variazioni che diminuiscono o annullano la loro qualità commerciale, causandone lo scarto. Variazioni nella forma, nel peso e nel confezionamento, sebbene non influenzino la sicurezza igienico-sanitaria, bastano comunque a rendere un prodotto alimentare non conforme agli standard qualitativi richiesti dal mercato.

3) Distribuzione e vendita. L’aumento dell’urbanizzazione dell’ultimo secolo ha portato all’allungamento della filiera alimentare, causando inevitabilmente anche l’allungamento dei tempi di trasporto e distribuzione. Questo comporta una maggiore probabilità di deperimento organico o diminuzione di qualità degli alimenti, rendendoli più suscettibili allo scarto. C’è inoltre da considerare la comparsa massiccia della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) il cui comportamento contribuisce non poco. Infatti la GDO spesso stipula contratti molto rigidi con i propri fornitori, richiedendo standard qualitativi troppo elevati, che molti prodotti non rispettano. La gestione degli scaffali non è da meno dato che, per motivi di immagine, vengono tenuti sempre pieni, e molta della merce raggiunge la data di scadenza prima di venire acquistata.

4) Consumo domestico. In questa fase la responsabilità è esclusivamente del consumatore con i suoi comportamenti. Per diversi motivi le persone tendono a comprare cibo vicino alla data di scadenza (spesso più economico) ma che poi non viene effettivamente consumato. C’è poi la tendenza a riempire eccessivamente le portate nei piatti durante i pasti, il mancato rispetto delle indicazioni sulle modalità di conservazione e l’errata gestione della spesa settimanale.

Fortunatamente diverse ricerche indicano che gli sprechi alimentari stanno diminuendo negli ultimi anni. Tale tendenza è dovuta in parte alla maggiore consapevolezza al problema ed in parte all’avvento della crisi economica, che ha modificato i nostri stili di vita. Questo dato, seppur incoraggiante, non basta certo a risolvere il tutto. Infatti entro il 2050 la popolazione mondiale arriverà a circa 10 miliardi di persone (Dati ONU). Ciò significa che non possiamo permetterci di buttare via il cibo prodotto con le sempre più scarse risorse del pianeta. Alla luce di questo, cosa può fare ognuno di noi, nel suo piccolo, per ridurre gli sprechi alimentari? La risposta sta nei nostri comportamenti e nelle nostre abitudini. Elenchiamo alcune possibili soluzioni.

  1. Smettere di richiedere standard di qualità eccessivi. I supermercati non accettano molti prodotti alimentari ancora buoni, ma che per varie ragioni, prevedono che rimarranno invenduti. La ragione sta nel fatto che il consumatore medio non li acquisterà, a causa delle sue richieste di qualità eccessive. Diciamoci la verità, quante volte vi è capitato al supermercato di non comprare una mela solo perchè leggermente butterata? Oppure di storcere il naso di fronte ad uno scaffale con insalata un pochino imbrunita?
  2. Incentivare i sistemi produttivi a filiera corta. In questi sistemi gli sprechi alimentari sono nettamenti minori, a causa della riduzione dei passaggi tra produzione e consumo. Alcuni esempi di filiere corte sono: la vendita diretta in azienda, i gruppi di acquisto solidali (GAS) e i mercati contadini. Questi sistemi, oltre a ridurre gli sprechi alimentari, forniscono vantaggi sia per i produttori che per i consumatori. Gli agricoltori, evitando il monopolio della grande distribuzione, possono decidere i prezzi di vendita con maggiore autonomia, mentre i consumatori sanno di acquistare prodotti sani e di alta qualità. Tutto questo rafforza il rapporto di fiducia tra entrambi gli attori della filiera.
  3. Migliorare le abitudini di gestione della spesa domestica. In questo caso occorre incoraggiare le persone ad adottare comportamenti adeguati. Questo può essere fatto attraverso campagne di informazione sia a livello locale che nazionale (iniziative di educazione nelle scuole, campagne mediatiche di pubblicità progresso e seminari informativi).

Ricapitolando, la buona notizia è che le soluzioni ci sono, sebbene non immediate e di semplice attuazione, ma d’altra parte un famoso Premio Nobel disse una volta:

“Per ogni problema complesso, c’è sempre una soluzione semplice, ed è quella sbagliata” George Bernard Shaw

Simone Rossi, PhD., Agronomo.

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Agricoltura e ambiente – criticità ed opportunità per il futuro http://www.semidiscienza.it/2019/09/02/agricoltura-e-ambiente-criticita-ed-opportunita-per-il-futuro/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=agricoltura-e-ambiente-criticita-ed-opportunita-per-il-futuro http://www.semidiscienza.it/2019/09/02/agricoltura-e-ambiente-criticita-ed-opportunita-per-il-futuro/#respond Mon, 02 Sep 2019 17:32:07 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=623 L’agricoltura è l’attività economica che consiste nella produzione di cibo da destinare all’alimentazione umana tramite la coltivazione di specie vegetali erbacee ed arboree. La scoperta dell’agricoltura (risalente approssimativamente al 10.000 a.C.) è stata una vera e propria rivoluzione, in quanto ha permesso agli esseri umani di passare da società nomadi di cacciatori-raccoglitori a società stanziali. Ne è conseguito, quindi, il successivo sviluppo di comunità sedentarie di dimensioni crescenti, da piccoli villaggi a grandi città. Inoltre, nel corso dei secoli, l’esigenza di produrre sempre maggiori quantità di derrate alimentari, ha favorito processi di ricerca ed innovazione, che hanno portato allo sviluppo di nuove tecniche produttive da impiegare in campo. Gli esempi sono innumerevoli: la rotazione delle colture (per evitare il famoso fenomeno della “stanchezza del terreno”), l’impiego di macchine agricole per la lavorazione del terreno, lo sviluppo della scienza agronomica, la comparsa dei concimi chimici di sintesi e dei fitofarmaci per combattere le avversità delle piante coltivate.

Ma come spesso accade, una grande luce si porta anche dietro una grande ombra. Infatti, se da una parte l’agricoltura ha indubbiamente favorito lo sviluppo tecnologico e sociale, dall’altra ha introdotto nel sistema anche problematiche ambientali decisamente non trascurabili. Per esempio, l’impiego sempre più intensivo dei fertilizzanti chimici di sintesi ha causato l’inquinamento di falde acquifere sotterranee, mari e fiumi, provocando seri danni agli ecosistemi. l’ICEI (Istituto di Cooperazione Economica Internazionale) ha stimato che le sostanze riversate annualmente nei campi di tutto il mondo sono circa 138 milioni di tonnellate. Tutti queste enormi quantità sono anche responsabili del 95% delle particelle di ammoniaca presenti nell’aria. Un’altra problematica non trascurabile è lo sfruttamento indiscriminato delle acque di falda per l’irrigazione delle colture. Infatti, l’eccessivo utilizzo delle acque dolci sotterranee provoca un graduale esaurimento delle stesse, costringendo gli agricoltori ad attingere a fonti idriche non convenzionali, come acque saline e/o salmastre, spesso dannose per le coltivazioni e per il terreno. C’è poi l’eccessivo utilizzo degli antiparassitari per combattere le avversità delle piante coltivate. È risaputo, infatti, che l’uso indiscriminato degli insetticidi, se da una parte elimina gli insetti dannosi alle colture, dall’altra danneggia altri insetti dal ruolo biologico importante, come gli impollinatori (api e farfalle) e i predatori dei fitofagi (coccinelle). Un rapporto dell’Università di Sydney, che ha sintetizzato i risultati di 73 studi scientifici condotti, ha concluso che quasi la metà delle specie di insetti viventi sul pianeta è in rapido declino. Un Olocausto del tutto particolare che deve essere preso seriamente in considerazione.

Ma quali strumenti abbiamo a disposizione per evitare che l’agricoltura provochi irreparabili danni ambientali? La soluzione sta nella tecnologia. Negli anni recenti, sono state introdotte delle pratiche di agricoltura sostenibile che si basano su diversi principi. Vediamone alcune tra le più rilevanti:

Agricoltura di Precisione (o Precision Farming): Si basa sull’utilizzo di strumentazioni tecnologiche avanzate (immagini satellitari, sensoristica di campo, droni e algoritmi) al fine di eseguire interventi agronomici mirati, che tengano conto delle effettive esigenze delle colture, in modo da fornire la quantità esatta di fattori produttivi nel momento esatto. Questa pratica è molto efficiente ed evita inutili sprechi di prodotto, con significativi vantaggi ambientali, oltre che vantaggi economici per gli agricoltori. Attualmente in Italia, la superficie coltivata gestita coi metodi di agricoltura di precisione è soltanto l’1%, la cui quasi totalità viene impiegata in alcuni comparti produttivi ad alto reddito, come viticoltura, olivicoltura e frutticoltura. Nonostante ciò, è previsto che il numero di aziende che utilizzeranno le tecniche di precision farming cresceranno in maniera esponenziale nei prossimi anni.

Agricoltura Verticale (o Vertical Farming): è una tipologia di coltivazione di specie vegetali fuori suolo in ambienti protetti che si sviluppa su diversi piani in altezza, e dotata di sistemi automatizzati che forniscono acqua arricchita di elementi nutritivi a ciclo chiuso. Questo sistema ha il grosso vantaggio di risparmiare molta acqua e di produrre molte piante su superfici limitate. Secondo la ricerca “Future Farming”, condotta da Porsche Consulting, l’impiego delle metodologie di Vertical Farming saranno in grado di aumentare la produzione del 75% rispetto all’agricoltura tradizionale e di ridurre l’utilizzo di acqua del 95%. Inoltre, per via della loro natura, i sistemi di agricoltura verticale potranno essere impiegati in zone urbane, rendendo possibile la produzione di cibo a km 0.

Acquaponica: si basa sull’utilizzo combinato di acquacoltura e coltivazione idroponica, al fine di ottenere un sistema produttivo a ciclo chiuso, dove i prodotti di scarto dei pesci diventano nutrimento per le piante. Le colture acquaponiche sfruttano il ciclo naturale dell’azoto.  Infatti, l’azoto in forma di ammoniaca, proveniente dalle deiezioni dei pesci, viene trasformato nella forma nitrica grazie all’azione di specifici batteri, detti “nitrificatori”, per poi essere assimilato dalle piante. In questo modo si evita l’uso dei concimi chimici di sintesi, massicciamente utilizzati in agricoltura tradizionale. Inoltre, nei sistemi acquaponici l’acqua non viene sprecata, ma circola in continuazione e viene purificata tramite filtri, rendendola riutilizzabile.

Come vedete, la tecnologia rende disponibili diverse opzioni di agricoltura sostenibile. Sta solo a noi decidere cosa farne.

Simone Rossi – Agronomo, PhD

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