Scienza – Semi di Scienza http://www.semidiscienza.it Mon, 08 Jul 2024 14:03:55 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8.10 http://www.semidiscienza.it/wp-content/uploads/2019/01/cropped-Semi-di-scienza-1-32x32.png Scienza – Semi di Scienza http://www.semidiscienza.it 32 32 Sperimentazione Animale, a che punto siamo http://www.semidiscienza.it/2024/07/08/sperimentazione-animale-a-che-punto-siamo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=sperimentazione-animale-a-che-punto-siamo http://www.semidiscienza.it/2024/07/08/sperimentazione-animale-a-che-punto-siamo/#respond Mon, 08 Jul 2024 13:58:35 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=2861 di Laura Calvillo

La sperimentazione animale è senz’altro un tema caldo, sia per l’impatto che ha sull’emotività dell’opinione pubblica che per il ruolo indiscusso nella ricerca di base.

L’Europa è forse il continente dove i diritti degli animali sono più tutelati, prova ne sia la direttiva 23/2010 che detta le linee guida da adottare dai singoli paesi, direttiva che è stata via via recepita dai paesi membri. L’Italia ha implementato le linee guida nel 2014 con la legge 26/2014, che nonostante le numerose problematiche non ancora risolte, ha dato una spinta molto forte all’innalzamento dello standard di qualità degli allevamenti e delle procedure. Il punto chiave è giustamente la valutazione del possibile livello di sofferenza esperibile dall’animale, sofferenza che per legge deve essere ridotta al massimo, fino ad un ideale livello zero. La legge quindi ruota tutta intorno a due punti fondamentali: rimpiazzare l’animale ove possible e ridurre al massimo le sofferenze e il numero di animali impiegati, mantenendo la significatività statistica grazie a calcoli precisi (3R: Rimpiazzare, Rifinire, Ridurre). L’iter autorizzativo è molto severo e abbastanza burocratizzato complicando molto la ricerca, fino quasi a scoraggiarla, e questa, va detto, è una delle problematiche che da anni i ricercatori devono gestire. Ma tralasciando gli inevitabili problemi politico-burocratici, un fatto è ormai provato: anche i mammiferi meno sviluppati come i piccoli roditori hanno capacità empatiche importanti e provano sofferenza anche psicologica. Studi di alto livello [1–3] hanno infatti dimostrato come il dolore fisico alteri l’espressione genica, inibisca il funzionamento del nervo vago, stimoli l’attivazione immunitaria e causi, tra le altre alterazioni, un incremento della neuroinfiammazione. Lo stress ha effetti analoghi in maniera dose-dipendente [4,5] e impatta anche sulla termoregolazione e sul funzionamento del tessuto adiposo bruno e dell’ipotalamo [6,7]. Oggi le ricerche analizzano fenomeni e meccanismi cellulari sempre più fini è sofisticati, è ovvio che a fianco dell’importante problema etico ci sia anche il rischio di veder compromessi i risultati delle ricerche qualora dolore e stress non vengano gestiti e impediti. Ma a che punto siamo nella gestione della sofferenza e nell’utilizzo di metodi che possano sostituire l’animale da laboratorio? Da più di vent’anni gruppi di ricerca in vari paesi si dedicano esclusivamente a questi problemi e oggi abbiamo strumenti importanti per quantificare la sofferenza e per ridurla. Esistono metodi di osservazione e valutazione del comportamento che permettono ai ricercatori di quantificare il benessere [8–12] e di trovare le giuste strategie per garantire la serenità degli animali [13–15]. Allo stesso tempo tecnologie di imaging permettono multiple osservazioni su un singolo animale senza procedure invasive, quindi senza causare sofferenza [16,17].

La ricerca stessa sta quindi trovando soluzioni importanti al problema della riduzione del numero di animali e delle loro eventuali sofferenze.

Ma c’è un altro campo di studi estremamente affascinante che sta sviluppando dispositivi artificiali i quali, almeno in parte, riproducono la complessità degli organismi viventi: stiamo parlando della bioingegneria e delle colture cellulari di prossima generazione. Organoidi, colture sotto flusso e organi su chip stanno rivoluzionando la ricerca medica di base: la spinta etica a trovare alternative all’uso dell’animale ha prodotto straordinari strumenti che colmano vuoti importanti nelle metodiche di laboratorio.

Siamo ancora lontani dal poter rimpiazzare l’animale, e ci vorranno forse decenni, ma di sicuro la tecnologia sta già permettendo osservazioni e scoperte che non erano pensabili usando gli animali o le classiche colture cellulari. Ad oggi un laboratorio di medie dimensioni può permettersi l’utilizzo di bioreattori, camere di coltura dove le cellule possono crescere in tre dimensioni, riproducendo in maniera semplificata gli organi di appartenenza, e sotto lo stimolo del flusso del medium di coltura, che mima la circolazione sanguigna. Tutte condizioni impossibili nelle classiche colture cellulari [18,19]. Oppure si possono coltivare cellule dell’epitelio polmonare su un microchip riproducendo le funzioni polmonari per studiare ad esempio l’edema; questo dispositivo può analizzare gli scambi aria-fluidi in tempo reale e può essere connesso ad un computer [20,21] (https://wyss.harvard.edu/media-post/lung-on-a-chip/).

Grande interesse ha poi suscitato la creazione di un organoide cerebrale che, nonostante la ridotta capacità vitale, ha aperto nuovi orizzonti nella ricerca neurologica [22,23]. E ancora, la creazione delle iPS, che sono valse il Nobel al ricercatore che le ha prodotte, permettono di creare una cellula differenziata di qualsiasi organo partendo da semplice cellule di fibroblasti che vengono “trasformati” nella cellula di interesse. Ad oggi questa tecnologia permette di prelevare fibroblasti da pazienti con patologie genetiche, ad esempio la SLA, differenziarli nelle cellule appartenenti all’organo malato e studiare direttamente sul corredo genetico alterato del paziente i meccanismi d’azione o eventuali terapie [24].

Come possiamo vedere, la scienza aiuta la scienza. I problemi anche etici che nascono dalla ricerca scientifica trovano la loro soluzione nel metodo scientifico. Non nelle ideologie, non nella persecuzione di categorie professionali attraverso la gogna mediatica o la disinformazione.

Mai come in questo periodo storico il cittadino è chiamato ad essere consapevole e responsabile delle fonti da cui trae le informazioni, informazioni che lo guideranno in una scelta politica, che sia una raccolta firme o un’altra forma di attivismo civico. Forzature ideologiche hanno drammaticamente portato a scelte politiche sbagliate, a procedure di infrazione che il nostro paese si è trovato a fronteggiare e, ancor peggio, alla paralisi della ricerca di base che, già sotto finanziata, soffre dell’endemico disinteresse da parte delle istituzioni.

In ultima analisi saranno i cittadini le prime vittime della progressive riduzione della ricerca, perché da sempre il livello delle cure mediche e le ricadute tecnologiche nel mondo del lavoro dipendono dalla mole di ricerche che vengono prodotte in un paese. E storicamente i paesi che sono diventati leader mondiali sono sempre stati quelli che hanno investito nella ricerca e nella cultura.

Bibliografia

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3.           Wang, H. S, K. DP, R.J. B, J. X, D.L. G, et al. Chronic neuropathic pain is accompanied by global changes in gene expression and shares pathobiology with neurodegenerative diseases. Neuroscience [Internet]. 2002;114(3):529–46. Available from: http://ovidsp.ovid.com/ovidweb.cgi?T=JS&PAGE=reference&D=med4&NEWS=N&AN=12220557%5Cnhttp://ovidsp.ovid.com/ovidweb.cgi?T=JS&PAGE=reference&D=emed5&NEWS=N&AN=2002390036

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14.        Redaelli V, Papa S, Marsella G, Grignaschi G, Bosi A, Ludwig N, et al. A refinement approach in a mouse model of rehabilitation research. Analgesia  strategy, reduction approach and infrared thermography in spinal cord injury. PLoS One. 2019;14(10):e0224337.

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16.        Roughan J V., Bertrand HGMJ, Isles HM. Meloxicam prevents COX-2-mediated post-surgical inflammation but not pain following laparotomy in mice. Eur J Pain (United Kingdom). 2016;20(2):231–40.

17.        Tillmanns J, Carlsen H, Blomhoff R, Valen G, Calvillo L, Ertl G, et al. Caught in the act: In vivo molecular imaging of the transcription factor NF-kappaB after myocardial infarction. Biochem Biophys Res Commun. 2006;342(3):773–4.

18.        Marchesi N, Barbieri A, Fahmideh F, Govoni S, Ghidoni A, Parati G, et al. Use of dual-flow bioreactor to develop a simplified model of nervous-cardiovascular systems crosstalk: A preliminary assessment. PLoS One [Internet]. 2020;15(11 November):1–16. Available from: http://dx.doi.org/10.1371/journal.pone.0242627

19.        Vozzi F, Mazzei D, Vinci B, Vozzi G, Sbrana T, Ricotti L, et al. A flexible bioreactor system for constructing in vitro tissue and organ models. Biotechnol Bioeng. 2011;108(9):2129–40.

20.        Zamprogno P, Wüthrich S, Achenbach S, Thoma G, Stucki JD, Hobi N, et al. Second-generation lung-on-a-chip with an array of stretchable alveoli made with a biological membrane. Commun Biol [Internet]. 2021 Feb 5;4(1):168. Available from: https://www.nature.com/articles/s42003-021-01695-0

21.        Huh D, Leslie DC, Matthews BD, Fraser JP, Jurek S, Hamilton GA, et al. A human disease model of drug toxicity-induced pulmonary edema in a lung-on-a-chip microdevice. Sci Transl Med [Internet]. 2012 Nov 7;4(159):159ra147. Available from: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23136042

22.        Lancaster MA, Renner M, Martin CA, Wenzel D, Bicknell LS, Hurles ME, et al. Cerebral organoids model human brain development and microcephaly. Nature [Internet]. 2013;501(7467):373–9. Available from: http://dx.doi.org/10.1038/nature12517

23.        Kilic O, Pamies D, Lavell E, Schiapparelli P, Feng Y, Hartung T, et al. Brain-on-a-chip model enables analysis of human neuronal differentiation and chemotaxis. Lab Chip [Internet]. 2016;16(21):4152–62. Available from: http://xlink.rsc.org/?DOI=C6LC00946H

24.        Lattuada C, Santangelo S, Peverelli S, McGoldrick P, Rogaeva E, Zinman L, et al. Generation of five induced pluripotent stem cells lines from four members of the same family carrying a C9orf72 repeat expansion and one wild-type member. Stem Cell Res [Internet]. 2023 Feb;66:102998. Available from: https://linkinghub.elsevier.com/retrieve/pii/S1873506122003476

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Festa della scienza “Orlando scienziato” http://www.semidiscienza.it/2024/03/08/festa-della-scienza-orlando-scienziato/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=festa-della-scienza-orlando-scienziato http://www.semidiscienza.it/2024/03/08/festa-della-scienza-orlando-scienziato/#respond Fri, 08 Mar 2024 16:23:43 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=2669 Domenica 24 marzo si svolgerà la festa delle scienze naturalistiche, della scoperta e della conoscenza della storia della terra presso la Fattoria di animazione ambientale “L’asino dell’Ariosto” di Reggio Emilia (RE).

Saranno presenti il presidente Yuri Galletti, il vicepresidente Marco Reho e il socio attivo Matteo Bo.

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Cambiamo Energia, Risparmia, riduci, Condividi con le Comunità Energetiche Rinnovabili http://www.semidiscienza.it/2024/01/15/cambiamo-energia-risparmia-riduci-condividi-con-le-comunita-energetiche-rinnovabili/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=cambiamo-energia-risparmia-riduci-condividi-con-le-comunita-energetiche-rinnovabili http://www.semidiscienza.it/2024/01/15/cambiamo-energia-risparmia-riduci-condividi-con-le-comunita-energetiche-rinnovabili/#respond Mon, 15 Jan 2024 21:06:09 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2650 Venerdì 19 gennaio ore 20:30, Sala Consiliare del Comune di Zinasco (PV) – P.za Vittoria, 11

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“Profili Antropici”: risultati del progetto http://www.semidiscienza.it/2023/12/31/si-e-concluso-il-progetto-di-citizen-science-profili-antropici/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=si-e-concluso-il-progetto-di-citizen-science-profili-antropici http://www.semidiscienza.it/2023/12/31/si-e-concluso-il-progetto-di-citizen-science-profili-antropici/#respond Sun, 31 Dec 2023 16:23:31 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2635

Si è concluso il progetto di Citizen Science “Profili Antropici”, finanziato dall’8 per Mille Chiesa Valdese, grazie al quale abbiamo quantificato i rifiuti abbandonati su tre spiagge caratterizzate da diverse condizioni ambientali e di utilizzo da parte dei cittadini lungo la costa toscana e individuato possibili misure di regolamentazione che possono essere adottate dagli amministratori locali.

Le tre spiagge monitorate sono state Bocca di Serchio (Marina di Vecchiano, PI), Cala del Leone (LI), Lillatro (Rosignano, LI).

La maggior parte dei rifiuti trovati sono oggetti o frammenti di oggetti in plastica, e a ogni campionamento e in ogni spiaggia è stata superata la soglia precauzionale della Strategia marina europea per il buono stato ecologico: 20 rifiuti /100m.

L’inquinamento tossico da rifiuti di plastica mina la salute umana, contribuisce alla perdita di servizi ecosistemici e culturali e genera cambiamenti ambientali dannosi su larga scala e a lungo termine, mettendo a rischio la sostenibilità degli ecosistemi marini e costieri. Per essere affrontato, richiede l’adozione di misure normative a livello internazionale, nazionale e locale. L’identificazione degli oggetti maggiormente presenti nel marine litter è essenziale per definire le priorità delle politiche ambientali al fine di prevenire la dispersione della plastica e promuovere un’economia circolare.

Abbiamo condiviso i dati raccolti nell’ambito del progetto Profili Antropici con le tre amministrazioni comunali (Marina di Vecchiano, Livorno, Rosignano) e sottomesso un abstract per la X edizione del Simposio Internazionale “Il Monitoraggio Costiero Mediterraneo: problematiche e tecniche di misura” organizzato dall’Istituto di BioEconomia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IBE) in collaborazione con la Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale (SISEF), che si terrà a Livorno dall’11 al 13 Giugno 2024 presso il Museo di Storia Naturale del Mediterraneo.

Di seguito i risultati del progetto in forma sintetica:

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Insegnare biologia nella scuola secondaria di primo grado http://www.semidiscienza.it/2023/12/09/insegnare-biologia-nella-scuola-secondaria-di-primo-grado/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=insegnare-biologia-nella-scuola-secondaria-di-primo-grado http://www.semidiscienza.it/2023/12/09/insegnare-biologia-nella-scuola-secondaria-di-primo-grado/#respond Sat, 09 Dec 2023 08:34:48 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2616 La mia lunga esperienza di insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado e il mio ruolo di curatrice della rubrica “Fare scuola” nella rivista Naturalmente Scienza1, costituiscono le premesse per  ripercorrere con un certo distacco e in modo critico il mio percorso professionale. Ciò che però più mi motiva a esporre iproblemi e le scelte didattiche che negli anni ho affrontatoè  la possibilità che il mio raccontopossa essere di qualche utilità a chi comincia a insegnare adesso. È questa per me anche un’occasione per esaltare il contributo formativo dell’educazione scientifica, purtroppo troppo spesso confinata in spazi orari esigui.Qui mi limiterò a parlare di biologia, sia perché ho una predilezione per il mondo dei viventi, sia perché mai come adesso la specie umana ha bisogno di conoscersi e rapportarsi ai problemi che le si prospettano.

I problemi di fondo

Nel ripensare ai tanti problemi che investono l’insegnamento delle scienze nella scuola secondaria di primo grado, mi soffermerò solo sulle decisioni che hanno contribuito a determinare i miei cambiamenti di rotta, quelle che mi hanno fatto pensare di aver fatto le scelte giuste.

Parto dall’inizio, dal numero di oredella cattedra di Matematica e Scienze , di norma 6 per classe, poche per l’enormequantità di temi da trattare.Con che cosae come riempirle?È  stato subito chiaro che avrei dovuto fare i  conti con le mie carenze culturali. Ero infatti consapevole che la mia laurea in Biologia mi avrebbe supportato solo in parte eche anche solo pensando ai viventi, con i quali peraltro avevo un po’ di familiarità,la vastità dei temi da affrontare era scoraggiante.

La ricerca di percorsi di formazione si imponeva, mase mi sentivo in difficoltà con la biologia, figuriamoci con la matematica! E così quest’ultimafiniva quasi sempre per avere il sopravvento.Inoltre i vari corsi disattendevano spesso le aspettative che vi riponevo,avrei avuto bisogno di orientamenti ‘semplici’ invece di esempi “alti”, proposte “normali” invece che “speciali”, mapoiché così non era,il tirocinio l’ho fatto prevalentemente sui miei sbagli. Il primo, è stato quello di affidarsi totalmente al libro di scienze.

I manuali scolastici

Qui si apre un capitolo spinoso perché i testi di scienzedovrebbero avere come interlocutori privilegiati i ragazzi ma sono invece scritti per gli insegnanti.D’altra parte le case editrici puntano sulle adozioni e sono solo interessate a capire che cosa motiva le scelte dei docenti. Ecco che, nell’intento di accontentare tutti, i testi finiscono per avere un taglio enciclopedico, relegando in secondo piano l’aspetto linguistico e quello sperimentale. Il linguaggio utilizzato è quello dell’adulto e ovviamente comunica all’adulto, il discente viene inevitabilmente bypassato; non potendo, da bambino, parlare come un adulto nella maggior parte dei casi impara a mente. E poi descriverei problemi non è la stessa cosa che esplorarli e analizzarliinsieme agli alunni.Le risposte vanno cercate e non è detto che siano subito quelle giuste, vanno argomentate, discusse, condivise. Oggi che abbiamo un mare magnum di informazioni a portata di clic, a maggior ragione, insegnare il pensiero critico è una priorità.

La nascita degli Istituti Comprensivi ha per me rappresentato un punto di svolta fondamentale perchémi ha motivato a diventare una figura di riferimento delle materie scientifiche e in questo ruolo ho potutoporre attenzione all’aspetto sequenziale dei concetti e a quello trasversale, uscendo in questo modo dall’isolamento della cattedra orario.Mi sono resa conto che non è possibile ad esempio far distinguere, comparare, classificare se non si costruiscono i processi di osservazione e descrizione. La scommessa è stata quindi armonizzare, riprendere, anticipare e/o approfondirealcuni saperi essenziali quali saper manipolare, osservare, confrontare, mettere in ordine e classificare, riconoscere l’appartenenza a un insieme.Ricercare e instaurare alleanze con altri docenti è stato anche un modo per dedicare più spazio alle scienze allargandone i confini.

L’aula come palestra didattica

Una volta realizzato che non potevo affidarmi esclusivamente al libro di testo,mi sono interrogata su quali esperienze proporre. Non potevo che stare con i piedi per terra e partire dalle piccole cose. C’erano comunque le Indicazioni Nazionali a rassicurarmi2: “La valorizzazione del pensiero spontaneo dei ragazzi consentirà di costruire nel tempo le prime formalizzazioni in modo convincente per ciascun alunno. La gradualità e non dogmaticità dell’insegnamento favorirà negli alunni la fiducia nelle loro possibilità di capire sempre quello che si studia, con i propri mezzi e al proprio livello”.

Forte di questi suggerimentiho cominciatoper prima cosa a curare i “preparativi del viaggio”interessandomi a ciò  che i miei alunni avevano fatto alla scuola primaria, non limitandomi a una semplice ricognizione degli argomenti trattati.  Richiamare alla mente esperienze pregresse comporta infatti la ricostruzione di un puzzle a più mani, attività impegnativa, ma anche produttiva perché non si è soli e si possono mettere a fuoco oltre al problema affrontato anche difficoltà, dubbi, errori. Ho verificato che una delle attività comunemente svolta alla scuola primaria è quella della germinazione del seme effettuata con varie modalità,ricorrendo acotone idrofilo umido, mezze bottigliette di plastica riempite con segatura, vasetti con terriccio, vassoireperiti al negozio di agraria, approcci diversi che inducono a confrontare le diverse esperienze.Solitamente i ricordi vengono riportatidagli alunni in modo “disordinato” e diventa necessario riorganizzarli chiedendo ad esempio di riprodurre un esperimento svolto o di ricostruire ciclo vitale di una pianta dalla semina alla raccolta di nuovi semi. Saranno gli alunni stessi, indotti dalle richieste di chiarimento dei compagni,  a organizzare in modo logico e comprensibile la loro esposizione fornendo all’insegnante informazioni utili per capire cosa hanno imparato e come ragionano.

Un’altra abitudine didattica maturata ha riguardato la comprensione del significato ditermini scientifici. Tale attenzione deriva dalla convinzione che raccontare la storia delle parole aiuta a comprendere non solo il loro significato, ma anche le idee che le accompagnano,cosa che favorisceanche la  costruzione di connessioni. Sono stati così indagati i significati di cellula, fotosintesi clorofilliana, microbiologia, protozoo solo per citare alcuni termini. Non solo. Nelle scienze sono comuni parole composte e conoscere il significato di prefissi e prefissoidi, come di suffissi e suffissoidi permette di giocare a montare e smontare le parole come fossero costruzioni lego. Per darel’idea basta pensare a quelle che si possono formare con bio, eco, geo, micro.

Fuori dall’aula

Fare dell’aula una palestra didattica non significa però restarvi sempre confinati, moltissime sono le occasioni per uscirne. Indubbiamente la cosa più facile ètrasferirsi in un’aula attrezzata a laboratorio scientifico, ma nell’ indagine sui viventi sarà proprio dai territori esterni che proverranno le esperienze più significative, quelle che permetteranno di mettere dare senso e spazio a ciò che è stato trattato in classe.

Alcune di queste esperienze si sono rivelate particolarmente incisive per promuovereprocessi quali osservare, descrivere, classificare, stabilire relazioni, fare congetture.L’indagine sulla diversità dei viventi offre così tante occasioni che c’è solo l’imbarazzo della scelta e non c’è da meravigliarsi che le piante rappresentino il primo terreno da esplorare, non c’è bisogno di andarle a scovare, basta fare un passo fuori dalla scuola per incontrarealberi solitamente ignorati. A parte ilriconoscimento di pini e cipressinon mi è mai infatti capitato che qualcuno indicasse con il nome comune il leccio, la farnia, il tiglio, il platano che stavano proprio lì in prossimità dell’ingresso di scuola. Una buona occasione per dedicareloro un po’ di attenzione  scoprendo così  inaspettati caratteri comuni.  Chiamarli per nome diventa a questo punto un’esigenza, sancisce l’appartenenza a un insieme  con determinate proprietà e fa capire il senso del riconoscimento. Si dà il nome a qualcosa che si distingue, ma quale nome?  Si fa strada un primo concetto di specie (è alla specie e non all’individuo che si dà il nome, quello di genere nasce invece dalla ricerca di un indizio di parentela). Si scoprono così i nomi generici e quelli specifici a costituire una gerarchia.

Si comprende così che le querce sono molto diverse tra loro, che non tutte hanno foglia lobata, ma tutte hanno le ghiande.

L’esplorazione del fuori scuola porterà ad allargare il campo di osservazionee a promuovere unavisione sistemica.Si può far didattica laboratoriale ovunque, ma constatare che la vita si manifesta con adattamenti ambientali è qualcosa che lascia il segno. Allontanarsi dalla scuola diventerà pertanto un bisogno  naturale e potrà succedere, come è avvenuto nella mia esperienza, di arrivare fino al mare.

Ricordo la scopertadell’ ambiente dunalecome la più arricchente dal punto di vista formativo, sia per me che per i miei alunni,viste le scarse aspettative che avevamo:“Che ci sarà mai di interessante su una distesa di sabbia?”D’altra partenell’immaginario collettivo la sabbia evoca il deserto. Altro che deserto! La ricchezza di vita è stupefacente tanto più se vista inottica sistemica. Quante persone  sono ad esempio in grado di mettere in relazione le cosiddette “palle di mare”(nome scientifico egagropile) con il disfacimento della Posidonia oceanica? Scoprireio stessa che erano residui fogliari fibrosi di una pianta marina, e non alghe come comunemente si crede, mi ha spronatoa mettere a frutto la meraviglia di tale scoperta.Sicuramente lo stessostupore l’avrebbero provato i miei alunni e da questo alla voglia di vedere, al saper vedere e al problematizzare, il passo sarebbe stato breve.

Il discorso didattico, nel mio caso è iniziato proprio dalle ‘palle di mare’  per indagare non solo la loro genesi, ma soprattutto la loro composizione e utilità (tutto serve nell’economia della natura!)

La raccolta di vari reperti ci ha permesso di capire che le fibre vegetali disgregate dal moto ondoso si  riaggregano a formare strutture arrotondate.

Non è stato poi difficile comprendere la loro importanza nella formazione delle dune. È bastato osservare la loro presenza in uno spaccato dunale. Cosa ci stavano a fare lì dentro, lontano dalla battigia?

Una volta  verificato in classe il potere imbibente delle egagropile (incredibile quanta acqua riescono ad assorbire!) si è fatta strada l’ipotesi che l’acqua piovana intrappolata al loro interno costituisse una riserva di acqua dolce per le piante che possono mettervi radici creando così l’impalcatura dunale.

Certo non tutte servono a fare duna e gli accumuli spiaggiati (banquettes)di posidonia che si ritrovano su molti litorali spalmati sulla battigia vengono malvisti dai bagnanti che li considerano un rifiuto e come tale un elemento di disturbo. Si può invece scoprireche costituiscono un materiale che può essere raccolto ed utilizzato per vari scopi, trasformandolo da rifiuto a preziosa risorsa ambientale ed economica3.Purtroppo durante le nostra uscite in riva al mare abbiamo anche potuto constatare che in spiaggia si accumulano altri tipi di rifiuti del tutto innaturali riscontrandoquanto la plastica abbia invaso e alterato questo ambiente. Si apre a questo punto un altro campo di indagine per capire da dove provenga tutta questa  plastica e come va gestita. Portarsi in classe i problemi emersi durante le uscite è un bel modo per superare l’idea che le scienze siano confinate nei libri e che i concetti e le abilità costruiti a scuola siano forme inerti di istruzione. È un occasione peraffrontare i problemi in modo critico e imparare ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni.

Le risorse museali

Alle risorse naturali, ben si affiancano quelle dei musei non distanti da scuola. Nella mia esperienza Orto Botanico e Museo di Storia Naturale hanno rappresentato luoghi significativi che hanno ben supportano il lavoro di classe.

Certo è necessario avere le idee chiare e non delegare a chi solitamente in tali luoghi guida i laboratori per le scuole; prima di tutto serve conoscere le risorse museali per capire come poterle utilizzare in modo laboratoriale. Il vasto campionario di esemplari lì rintracciabili permetterà di

rafforzare il concetto di biodiversità e rivelerà  caratteri adattativi non ancora esplorati. Le piante delle serre e dell’idrofitorio dell’ Orto Botanico saranno utilissime per tali scopi. Rilevare ad esempio l’esistenza di foglie carnose, lucide come se fossero ricoperte di cera, trasformate in spine, pelose sulla pagina inferiore, permetterà di espandere il concetto di variabilità e condurrà a fare congetture sempre più argomentate. Due opportunità offerte anche dal Museo di Storia Naturale.

Tra le tante esperienze possibiline segnalo unasui pesci di acqua dolce che si è rivelata particolarmente proficua, e non c’è da stupirsi visto che gli  animali vivi ela grande varietà di forme e colori (sorprendente per pesci d’acqua dolce)esercitano di per ségrande attrattivafacilitando il confronto e la scoperta della relazione forma-funzione4.

Le diverse forme e le diverse posizioni di bocca e pinne hanno permesso infatti di inferire aspetti rilevanti della vita animale, quali il modo di spostarsi in acqua, l’alimentazione, il rapporto preda-predatore. È un percorso di affinamento dell’osservazione lento e graduale, quello che porta a comprendere che occhi posti nei pressi della superficie dell’acqua e bocca rivolta verso l’alto rappresentano un adattamento all’alimentazione di insetti e piccoli pesci, e a capire come anche le pinne situate in prossimità della coda siano adatte a spiccare salti per catturare prede.

Esplorazioni in lungo e in largo

Prima di concludere la mia riflessione voglio rafforzare tre aspetti che sono alla base dell’insegnamento scientifico (e non solo),ricorrendo all’immagine mentale dell’esplorare “in lungo e in largo”. Ho già parlato di esplorazione e di curricolo verticale, ma mi fa piacere associarli adesso anche a una visione trasversale che chiama in causa anche altre discipline.

L’esplorazione non è altro che l’approccio ai problemi, un’azione di ricerca che si sviluppa in varie direzioni, di cui due mi appaiono privilegiate per fare cultura: la continuità nel tempo (lungo, in questo caso dà l’idea di una durata che si protrae per tutto l’arco del I ciclo d’istruzione) e l’attraversamento di vari ambiti disciplinari (largo,suggerisce un ampliamento di vedute e il superamento di barriere culturali) .

Mentre l’indagine per problemi si sta diffondendo nell’insegnamento, non mi pare di poter dire altrettanto delle “estensioni” in lungo e in largo.

Per osservare non basta attivare tutti i canali percettivi (i nostri strumenti naturali),servono anche le parole adatte per descrivere le proprietà percepite e la conoscenza degli ordinatori logici del testo descrittivo, servono in pratica competenze linguistiche.

A questo punto diventa utile e necessario coinvolgere l’insegnante di lettere per  costruire un percorso specifico,  sperimentarlo incompresenza, in pratica procedere “in lungo e in largo” anche per passare il messaggio che le materie scolastiche hanno bisogno di interagire e dialogare tra loro:anche la geografia, la storia, la tecnologia, l’arte contribuiscono ad ampliare la visuale con le connessioni che permettono di fare.

Conoscere ad esempio la storia della scoperta dei microrganismi, o gli esperimenti che hanno permesso di superare teorie errate come ad esempio quella della generazione spontanea o che hanno portato a conquiste come la vaccinazione, fa comprendere quanto possa essere lungo, difficile, rigoroso, il cammino della scienza e mette in guardia da idee estemporanee e posizioni negazioniste.

Fondamentali sono le connessioni con la matematica, più facili da individuare e gestire in quanto rientrano a pieno titolo nell’insegnamento delle Scienze. Utilissimo il campo sterminato dei dati statistici per analizzare e prevedere fenomeni, per dare significato ai grafici. Utilissimo per imparare a leggere e interpretare diversi tipi di grafici, leggere e interpretare fenomeni come ad esempio quello dei cambiamenti climatici che ci colloca al centro di un cambiamento epocale unico, articolato in molteplici aspetti5. Ecco che i numeri e le loro rappresentazioni diventano il riferimento irrinunciabile per spiegare le tante “crisi” che avvertiamo intorno a noi e ci permettono di individuarne le interconnessioni. Si farà strada la convinzione che solo su basi scientifiche saremo in grado di assumere comportamenti non autodistruttivi.

Conclusioni

Nel fare scienze nel primo ciclo d’Istruzione quello che più conta non sono tanto le conoscenze, ma gli atteggiamenti e i processi di pensiero: porsi interrogativi e imparare a smontare la complessità individuando componenti, processi, relazioni, isolando le questioni senza però perdere di vista il loro legame con altri elementi del sistema e campi del sapere. Si tratta poi di ragionare attorno a organizzatori del pensiero scientifico quali: diversità, cambiamento, interazione, adattamento, macroscopico, microscopico….e  per questo ogni essere vivente è uno scrigno ricolmo di opportunità didattiche.

Sono consapevole di averne colte solo alcune, ma l’idea di fondo era sottolineare come un’attività possa diventare esemplaredal punto di vista metodologico e come taletrasferibile in altri contesti, su altri “oggetti”, non solo viventi.Certo è che si deve fare i conti con i diversi punti di vista di genitori e anche di colleghi che non condividono la scelta di dedicare molto tempo a ragionare su un solo ambiente o su alcuni alberi o pesci. Fortunatamente i ragazzi comprendono che andare oltre la superficialità dà un grande potere e se all’inizio fanno una gran fatica, alla fine riconoscono di poter affrontare il nuovo senza timore perché possiedono gli strumenti cognitivi per farlo. Tanto basta per ripagare anche la fatica dell’insegnante.

1. https://www.naturalmentescienza.it/NATrivista/NATURALMENTE%20tutto.mp4

2.https://www.miur.gov.it/documents/20182/51310/DM+254_2012.pdf

3. https://www.isprambiente.gov.it/it/attivita/formeducambiente/educazione-ambientale/progetti-ed-iniziative-1/posidonia-spiaggiata-una-risorsa-ambientale

4.https://www.msn.unipi.it/wp-content/uploads/2015/09/Presentazione-Simone-Farina-PESCI-PARTE-2.pdf

Articolo di: Lucia Stelli, socia di Semi di Scienza ed ex insegnante di matematica e di scienze

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Cena sostenibile http://www.semidiscienza.it/2023/09/08/cena-sostenibile/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=cena-sostenibile http://www.semidiscienza.it/2023/09/08/cena-sostenibile/#respond Fri, 08 Sep 2023 11:28:42 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=2489 Evento di divulgazione presso “Il Mondo che si muove, l’arte che parla di ambiente”

Informazioni pratiche: 14 settembre ore 21:00, Livorno ex-cinema Aurora, ingresso gratuito

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Il buco dell’ozono http://www.semidiscienza.it/2021/09/21/il-buco-dellozono/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-buco-dellozono http://www.semidiscienza.it/2021/09/21/il-buco-dellozono/#respond Tue, 21 Sep 2021 18:09:42 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=1459 In questo articolo parliamo di un tema ancora purtroppo attuale: l’impoverimento dell’ozono della stratosfera, comunemente noto come “buco dell’ozono”.

Come premessa è opportuno ricordare che la presenza “benefica” dell’ozono negli strati alti dell’atmosfera (20-30 km) non deve essere confusa con l’inquinamento da ozono all’altezza del suolo, che provoca irritazione alle nostre vie respiratorie soprattutto in periodo estivo (il che ci porta a ricordare che la scarsa qualità dell’aria non è un problema solo invernale). L’ozono stratosferico, infatti, genera una sorta di schermo dalla radiazione solare ultravioletta proteggendo il pianeta dai potenziali danni permanenti alle cellule animali (e quindi anche umane) e dagli effetti nocivi sulla crescita dei vegetali. Una riduzione dell’ozono in stratosfera comporta quindi l’arrivo di un maggior quantitativo di raggi UV al suolo.

L’uomo, liberando in atmosfera sostanze chiamate ODS (Ozone Depleting Substances) quali i noti “CFC” (impiegati come refrigeranti, solventi e agenti propellenti nell’industria e nella vita di tutti i giorni) ha determinato negli anni l’assottigliamento di questo schermo protettivo in alcune aree del pianeta.

Tra quelle più fragili vi è il Polo Sud, che con le sue condizioni ambientali estreme vede ogni anno un drastico calo dello spessore dello strato di ozono al termine dell’inverno polare (con il ritorno di una maggior radiazione solare). Al Polo Nord, questa problematica è generalmente meno comune grazie alla minore intensità e durata del freddo in stratosfera per effetto delle correnti oceaniche (sotto i -80°C si generano le nubi stratosferiche polari che innescano i meccanismi chimici causa della deplezione dell’ozono).

Nonostante il Protocollo di Montreal del 1987, che ha portato ad alcuni segnali di “guarigione”, la problematica non è ancora risolta poiché queste sostanze sono tuttora circolanti in atmosfera. Nel 2020 così come nel 1997 e nel 2011 si sono generati dei “buchi” nel Polo Nord che verso la primavera si sono dispersi come masse d’aria arrivando fino all’Europa.

Da uno studio recente a cui hanno partecipato il CNR e l’ARPA Valle d’Aosta (The 2020 Arctic ozone depletion and signs of its effect on the ozone column at lower latitudes, consultabile all’indirizzo https://rdcu.be/cxWkt) emerge che nel nord Italia si sono verificati valori di radiazione UV superiori alla media nel periodo compreso tra aprile e maggio 2020. I ricercatori affermano che si tratti di “un evento raro, ma che potrebbe diventare sempre più probabile col riscaldamento globale” e che la problematica è “fortunatamente tornata ai suoi valori tipici in poche settimane e le variazioni osservate nei mesi di aprile e maggio 2020 (un aumento di circa il 20%) non devono destare eccessiva preoccupazione, sia per la durata limitata del fenomeno sia perché oggi si dispone di tutta l’informazione necessaria per proteggerci”.

L’evento, tuttavia, è rappresentativo in ottica scientifica poiché dalle sei stazioni europee di monitoraggio (dalle Svalbard a Roma passando per Aosta) è stato possibile ricostruire il movimento delle masse povere di ozono dal Polo Nord fino al Mediterraneo. I dati hanno confermato l’origine artica dell’evento ma hanno inoltre evidenziato, nella complessità del fenomeno, il verificarsi di ulteriori interferenze e sinergie locali nelle maggiori radiazioni UV registrate nel periodo. Secondo i ricercatori, una delle cause è imputabile alla riduzione del particolato al suolo, in grado anch’esso di assorbire i raggi UV, per effetto del lockdown. In Valle d’Aosta, alla tipica risalita degli inquinanti atmosferici dalla Pianura Padana (che ha compensato parte della riduzione delle emissioni durante il lockdown), la radiazione si è riscontrata elevata anche per effetto di alcune giornate serene e secche su tutta l’Europa nella primavera 2020. È opportuno ricordare, come citato dall’ARPA, che per l’incidenza della radiazione UV al suolo, “alcuni studi evidenziano un possibile ruolo delle emissioni da traffico aereo sull’ozono a quote intermedie (libera troposfera)”.

Infine, abbiamo citato poco fa l’interferenza del cambiamento climatico. Pare, infatti, che un contributo a una più frequente formazione del buco dell’ozono artico sia imputabile all’effetto serra (ovvero all’innalzamento delle temperature al suolo) che innesca un contrapposto raffreddamento della stratosfera, alla radice di tale deplezione. Gli autori concludono che anche attraverso il monitoraggio in continuo della radiazione UV si potranno osservare i rischi a livello locale connessi ai fenomeni globali complessi.

Autore: Matteo Bo – socio, ingegnere ambientale

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科学のたね Your Name: Anime e fisica quantistica http://www.semidiscienza.it/2021/05/24/%e7%a7%91%e5%ad%a6%e3%81%ae%e3%81%9f%e3%81%ad-your-name-anime-e-fisica-quantistica/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=%25e7%25a7%2591%25e5%25ad%25a6%25e3%2581%25ae%25e3%2581%259f%25e3%2581%25ad-your-name-anime-e-fisica-quantistica http://www.semidiscienza.it/2021/05/24/%e7%a7%91%e5%ad%a6%e3%81%ae%e3%81%9f%e3%81%ad-your-name-anime-e-fisica-quantistica/#respond Mon, 24 May 2021 15:17:13 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=1408 Una delle teorie scientifiche che più mi affascinano è la teoria del cosiddetto Wormhole, detta anche “Teoria dei Ponti di Einstein e Rosen”.

Un wormhole è propriamente un tunnel spazio-temporale che, in teoria, collega due buchi neri. Questi collegamenti, infatti, sarebbero creati dall’immensa forza gravitazionale di essi, e al loro interno lo spazio e il tempo sarebbero molto diversi da come li conosciamo. Teoricamente, entrando da un punto del tunnel si uscirebbe quasi istantaneamente dall’altra parte, nonostante questi due punti possano essere separati miliardi di anni luce.

Per fare un esempio pratico, pensiamo di dover unire su un foglio di carta, con una matita, due punti posti a una certa distanza l’uno dall’altro. Se il foglio è steso, dovremmo fare un tratto lungo quanto la distanza tra i due punti (percorso indicato dalla freccia rossa). Ma se invece piegassimo il foglio in modo da far sfiorare i due punti e, con la stessa matita, forassimo il foglio e quindi creassimo un collegamento tra i due punti, essi stessi sarebbero uniti in un percorso più breve (freccia verde). Ora immaginiamo che il foglio di carta sia lo spazio-tempo e lo spazio tra i due punti sia il tunnel del wormhole.

I wormhole permetterebbero di fare cose che attualmente sono impossibili, come per esempio spostarci in tempo zero da una parte all’altra dell’universo, oppure addirittura fare un viaggio nel futuro!

Adesso potrebbe risultare spontanea una domanda: Ivan, perché hai usato varie volte le parole “in teoria” e perché hai usato così tanti verbi al condizionale?

La risposta è la seguente: non sappiamo nulla sulla loro esistenza.

Secondo le leggi della fisica che attualmente conosciamo è impossibile che si formi un wormhole nel nostro universo, perché altrimenti sarebbe troppo instabile e collasserebbe immediatamente. Inoltre, secondo il fisico Daniel Jafferis, ricercatore dell’Università di Harvard, paradossalmente impiegheremmo più tempo a passare all’interno di un wormhole che a fare “la strada normale”, perché per entrare in un buco nero abbiamo bisogno di energia negativa, che si contrappone alla gravità, facendoci consumare più energia di quella necessaria.

La bellezza della scienza, però, è proprio la possibilità che dà di fantasticare sui limiti stessi che cerca di comprendere e superare.

Pensate se esistesse davvero la possibilità di viaggiare nel tempo e nello spazio! E pensate se nel farlo ci si trovasse casualmente nei panni di qualcun altro… C’è un anime, che è tra i miei preferiti, che in un certo verso tratta questo tema. È Your Name, o  君の名は。(Kimi no na wa., ovvero “Qual è il tuo nome.”) nella versione originale.

Your Name ha, apparentemente, una trama molto semplice: Taki e Mitsuha sono rispettivamente un ragazzo e una ragazza giapponesi. Lei vive in un piccolo borgo di campagna e, stanca di stare lì, un giorno esclama che avrebbe preferito essere un ragazzo di Tokyo. Il giorno dopo si sveglia e si accorge di essere diventata un’altra persona… proprio un ragazzo che vive a Tokyo! La sera di quel giorno va a dormire come ragazzo e il giorno dopo si risveglia come ragazza, con il suo corpo originario. Quel giorno, durante un’ora scolastica apre un quaderno e scopre che, nel mentre che lei era diventata un ragazzo, una persona “le aveva occupato il corpo”: il suo nome era Taki, l’altro protagonista della vicenda. Da quel momento in poi si scambiano il corpo circa un paio di volte a settimana e iniziano a conoscersi e a comunicare lasciandosi uno sul telefono dell’altro dei messaggi. Per evitare eventuali anticipazioni e spoiler, dirò solamente che questa magia ha causato loro vari problemi. I due ragazzi, infatti, non vivevano nello stesso momento, bensì Taki si “collegava” con la Mitsuha di tre anni prima e, al contrario, Mitsuha scambiava il corpo con il Taki di tre anni dopo.

Come possiamo vedere, questo anime non ha una vera e propria base scientifica, in quanto è semplicemente un film romantico/drammatico, ma possiamo dire che si ispira alla teoria dei wormhole di cui ho parlato precedentemente. Ovviamente qui viene vissuto tutto al limite tra la realtà e il sogno: infatti il titolo Your Name si riferisce al fatto che i ragazzi tendono a dimenticare l’uno il nome dell’altro, proprio come avviene con i ricordi di un sogno che piano piano svaniscono. Però è bello poter fantasticare sulle enormi potenzialità della scienza e immaginare che anche le teorie più estreme possano prima o poi prendere vita.

Autore: Ivan Merlo, classe I Liceo Scientifico Gobetti-Volta, Firenze

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Inquinamento luminoso http://www.semidiscienza.it/2021/05/03/inquinamento-luminoso/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=inquinamento-luminoso http://www.semidiscienza.it/2021/05/03/inquinamento-luminoso/#respond Mon, 03 May 2021 06:59:43 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=1375 La scarsa visione notturna degli esseri umani e la primitiva paura del buio si riflettono nella necessità di utilizzare la luce artificiale per illuminare il proprio ambiente. L’illuminazione per esterni senza dubbio contribuisce al miglioramento delle opportunità pratiche per gli sviluppi sociali ed economici.

Nell’ultimo mezzo secolo l’illuminazione delle città è aumentata esponenzialmente. Si pensa che in tutto il mondo siano presenti più di 100 milioni di punti luce, con un consumo annuo pari a circa 200TWh. Nei piccoli centri, l’illuminazione costituisce circa il 25% del bilancio, cioè il 50% della bolletta elettrica.

Al di là delle risorse finanziarie ed energetiche che assorbe, l’illuminazione artificiale degli spazi urbani inquina le nostre notti e così le stelle scompaiono. A parte questo, la comunità scientifica sta studiando gli impatti diretti e indiretti dell’illuminazione artificiale sulla biodiversità. L’adattamento biologico di tutte le specie animali alle condizioni di luce naturale si è evoluto nel corso di miliardi di anni. Diversi studi sperimentali hanno dimostrato che la luce artificiale disturba gli ecosistemi e potrebbe giocare un ruolo significativo nel declino di specie i cui ruoli, già indeboliti dalla presenza umana, non sono ancora del tutto conosciuti. Per fare un esempio, i cuccioli di tartaruga marina emergono dal nido di notte e usano segnali visivi per dirigersi verso l’orizzonte più luminoso e più basso; l’inquinamento luminoso notturno potrebbe alterare i segnali percepiti, disorientandoli. Ma anche gli invertebrati, che costituiscono la maggior parte della biodiversità sulla terra e sono vitali per gli ecosistemi, sono disturbati dalla luce artificiale. Luci UV, verde e blu, che hanno lunghezze d’onda corte e le alte frequenze, sono più visibili dalla maggior parte degli insetti e sono molto attraenti per loro. Anche per questo motivo, inizialmente, i lampioni LED non vennero considerati una buona alternativa ai lampioni tradizionali; emettevano soprattutto in luce blu.

Parallelamente, alcuni studi hanno recentemente dimostrato che la luce diffusa può avere effetti diretti o indiretti sulla salute umana e sull’umore; l’esposizione alla luce artificiale durante la notte inibisce la produzione di melatonina, problema associato all’incidenza di alcuni tumori al seno. In ogni caso, anche bassi livelli di illuminamento nella regione blu dello spettro della luce possono interrompere la secrezione di melatonina con effetti catastrofici sui cicli sonno-veglia. Inoltre, l’illuminazione artificiale può anche provocare abbagliamento notturno, che influisce sulla sicurezza della guida e dei pedoni.

Figura 1. Esempi di illuminazione notturna.

Tuttavia, definire e misurare l’inquinamento luminoso non è ancora così facile. Come identificare l’equilibrio tra illuminazione utile e inquinamento luminoso? E come quantificare oggettivamente l’illuminazione per vedere se questo equilibrio viene raggiunto? Alcuni scienziati hanno sviluppato la cosiddetta metrica della scatola da scarpe che potrebbe rendere più facile quantificare, e quindi regolare, l’inquinamento luminoso. Il soprannome di “scatola da scarpe” si riferisce all’area rettangolare descritta dai piani verticale e orizzontale che circondano un sito. I ricercatori propongono che architetti e progettisti considerino la quantità di luce che lascia la scatola da scarpe lungo ogni piano come un modo per caratterizzare l’impatto luminoso di un sito. Esistono comunque già alcuni strumenti per la misura dell’illuminazione, come lo Sky Quality Meter, utilizzato per monitorare appunto l’inquinamento luminoso in Europa, e in tutto il mondo tramite il progetto di citizen science Globe at night.

Probabilmente quando pensiamo all’inquinamento luminoso ci vengono in mente le illuminazioni stradali delle grandi città. Tuttavia, un esperimento effettuato a Tucson, in Arizona, ha rilevato che solo il 20% della luce visibile da satellite deriva da lampioni, mentre ben l’80% è dovuto a sorgenti private, vetrine di negozi e impianti sportivi. Inoltre una parte è dovuta alla diffusione atmosferica, impossibile da eliminare.

Cosa possiamo fare quindi?

A parte l’ovvio spegnere le luci quando non ci servono, sarebbe utile adottare un’illuminazione LED e lampioni che illuminino in maniera precisa una certa zona, in maniera da non diffondere più luce del necessario e avere un’illuminazione funzionale. In questa direzione vanno anche le soluzioni di telecontrollo e illuminazione adattiva, che permettono una gestione intelligente degli impianti e un risparmio di oltre il 30% rispetto a soluzioni già LED. Magari pensiamo che l’illuminazione adattiva sia disponibile solo per le grandi città, ma in realtà alcune società come Philips e Ikea forniscono lampadine che si collegano al wireless di casa, controllabile tramite assistenti come Siri e Alexa. Ma esistono anche apparecchiature che si adattano automaticamente alla luce ambientale, minimizzando i consumi, come fanno alcune lampade Samsung. Quindi, anche nel nostro piccolo, possiamo fare qualcosa per questo problema, troppo spesso sottovalutato.

Bibliografia:

  • Sustainable Lighting and Light Pollution: A Critical Issue for the Present Generation, a Challenge to the Future, Georges Zissis
  • Switch On the Night: Policies for Smarter Lighting, Luz Claudio.

Autrice: Maila Agostini, socia attiva di Semi di Scienza, operatrice dell’Osservatorio Polifunzionale del Chianti.

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L’importanza della divulgazione del sapere scientifico http://www.semidiscienza.it/2020/06/12/limportanza-della-divulgazione-del-sapere-scientifico/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=limportanza-della-divulgazione-del-sapere-scientifico http://www.semidiscienza.it/2020/06/12/limportanza-della-divulgazione-del-sapere-scientifico/#respond Fri, 12 Jun 2020 16:20:16 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=1084 Uno dei compiti principali di un buon divulgatore è quello di osservare. L’osservazione ci porta anche ad ascoltare ed alcune volte ci troviamo a dover fare i conti con dichiarazioni anti-scientifiche. Penso che queste affermazioni siano spesso dovute (i) ad una lacuna di conoscenze in ambito scientifico, (ii) alla mancanza di un’istruzione ecologica o scientifica e in definitiva (iii) alla perdita, nel tempo, di competenze logiche a causa del mancato esercizio di quanto imparato (analfabetismo di ritorno). Inoltre c’è la questione dell’analfabetismo funzionale che riguarda, secondo il Programme for the International Assessment of Adult Competencies, quelle persone che non riescono a “comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”. Questi aspetti riguardano tutta la popolazione, quindi di conseguenza potrebbero riguardare anche un rappresentante delle Istituzioni, cioè un politico. Spesso le affermazioni anti-scientifiche di un politico vengono fatte rientrare nella categoria delle gaffe, ma hanno tuttavia un impatto notevole perché vengono ascoltate da migliaia di persone.

Per fare alcuni esempi, nei giorni passati abbiamo sentito affermare, durante una diretta di SkyTG24,che “se misuriamo la febbre a 40 gradi all’ombra, secondo voi chi non avrà 37 di temperatura corporea?”. Ovviamente questa dichiarazione denota un’evidente situazione di analfabetismo di ritorno. In biologia, materia insegnata durante gli anni dell’obbligo scolastico, la termoregolazione è la capacità di regolare la temperatura corporea. I mammiferi, tra cui l’uomo, sono organismi endotermi e regolano la propria temperatura con fenomeni interni, come ad esempio la sudorazione. Recentemente abbiamo invece sentito affermare che “con indice Rt a 0,51 ci vogliono due persone per infettarmi”, con riferimento all’indice di trasmissibilità Rt, che è un parametro che misura la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva. Questa dichiarazione denota una lacuna nella conoscenza di un parametro scientifico. L’indice Rt rappresenta il numero medio delle infezioni prodotte da ciascun individuo infetto, quindi descrive il tasso di contagiosità dopo l’applicazione delle misure atte a contenere il diffondersi della malattia.

Detto questo, uno degli obiettivi della nostra associazione è quello di formare le persone sugli aspetti scientifici, cercando di fornire inoltre le basi di un’istruzione ecologica. Nel nostro caso, la formazione non è rivolta solamente agli adolescenti ma anche agli amministratori, a chi quindi ha come hobby la politica. Voglio definirla hobby perché fare politica deve essere una passione, a cui dedicare il proprio tempo e le proprie energie considerandola un onore a cui dedicare alcuni anni della propria vita. È proprio nel corso degli anni di una qualsiasi carriera politica (locale, regionale o nazionale) si dovrà necessariamente affrontare direttamente o indirettamente diversi argomenti scientifici. Le conoscenze scientifiche sono complesse, ma la figura del divulgatore può facilitare l’apprendimento di questi concetti, fornendo quelle basi fondamentali per agire da politico sensibilizzato, informato e lungimirante.

Semi di Scienza è nata per divulgare con metodo, mettendo a disposizione le competenze delle persone che la animano e cercando di formare al meglio le attuali generazioni di cittadini che stanno già affrontando importanti problematiche globali e nuove generazioni di cittadini che nel corso della loro vita si troveranno a dover affrontare alcune sfide cruciali. Cerchiamo di trasmettere non solo delle informazioni tecniche, ma soprattutto di favorire la nascita di una capacità critica, portando ogni componente della società a contribuire con decisioni attive alla soluzione dei problemi. In definitiva Semi di Scienza prova a comunicare il mondo scientifico in modo conciso, cercando di coinvolgere chi ci ascolta, i cittadini ed i portatori di interesse.

Entrare in politica per cercare di cambiare le cose e risolvere alcuni problemi è un atto nobile, ma non è sicuramente una cosa semplice. Per poter essere più efficaci diventa fondamentale essere preparati ed informati, evitando così di fare alcune dichiarazioni erronee od ingannevoli che la maggior parte delle volte sono fatte proprio a causa di lacune scientifiche. Queste dichiarazioni avrebbero, di conseguenza, alcuni effetti negativi sulle persone che ascoltano l’amministratore, poiché considerano il dichiarante, rappresentante delle istituzioni, una persone autorevole. L’autorevolezza si guadagna con i fatti, con il sapersi dimostrare un bravo decisore politico, ma passa inevitabilmente anche dal sapere gli argomenti di cui ci si sta occupando. Tutto è connesso, ciò che facciamo, dichiariamo e pianifichiamo ha un impatto sull’ambiente che ci circonda e sulle vite di tutta la comunità.

La comunità scientifica tenta da decenni, senza successo, di indicare ai decisori politici quali scelte è necessario mettere in atto per contrastare l’attuale emergenza climatica, e suggerisce che occorre promuovere e praticare cambiamenti di stili di vita, di consumo e di mobilità. Il motivo per cui si tarda ad intervenire è soltanto di matrice culturale. Per questo ribadiamo che è fondamentale ascoltare i moniti che arrivano dal mondo della scienza, per essere informati, per agire consapevolmente e per rilasciare dichiarazioni corrette dal punto di vista scientifico, al di là di qualsiasi colore politico. La politica deve ascoltare la scienza, perché essa può contribuire in modo significativo alla sua agenda, in particolare per risolvere alcune sfide globali.

Viviamo in una società profondamente dipendente dalla scienza, noi facciamo la nostra parte, divulgando ogni giorno piccoli grandi Semi.

Yuri Galletti – presidente di Semi di Scienza

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