Biodiversità – Semi di Scienza http://www.semidiscienza.it Tue, 17 Dec 2024 19:59:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8.10 http://www.semidiscienza.it/wp-content/uploads/2019/01/cropped-Semi-di-scienza-1-32x32.png Biodiversità – Semi di Scienza http://www.semidiscienza.it 32 32 Advancing the Protection Principle http://www.semidiscienza.it/2024/12/17/advancing-the-protection-principle/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=advancing-the-protection-principle http://www.semidiscienza.it/2024/12/17/advancing-the-protection-principle/#respond Tue, 17 Dec 2024 19:59:18 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=3017

La nuova pubblicazione Advancing the Protection Principle di Let’s Be Nice to the Ocean, pubblicata il 30 ottobre 2024 a Cali, Colombia, in occasione della COP sulla Biodiversità, delinea le proposte chiave per migliorare la conservazione degli oceani attraverso il Principio di Protezione alla prossima Terza Conferenza delle Nazioni Unite sull’Oceano (UNOC3) che si terrà a Nizza, in Francia, nel giugno 2025.

Il Principio di Protezione chiede che la protezione degli oceani diventi la norma, non l’eccezione, garantendo che l’onere della prova ricada sulle industrie estrattive e inquinanti, in modo che la preservazione e il ripristino della salute degli oceani e degli ecosistemi abbiano la precedenza sullo sfruttamento.

“Il documento chiede che il Piano d’azione per l’oceano di Nizza, nel giugno 2025, approvi il principio di protezione come obiettivo ambizioso” ha detto Rémi Parmentier, autore di Advancing the Protection Principle.

Con questo in mente, come movimento Let’s Be Nice to the Ocean proponiamo che il Piano d’azione per l’oceano di Nizza accetti di formare un gruppo ad hoc per redigere un rapporto su modalità e opzioni e una tabella di marcia prima della quarta conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani nel 2028.

Perché adesso?

Il ruolo dell’oceano come “sala macchine” del sistema climatico globale è inconfutabile. Assorbe il 90% del calore in eccesso generato dalle attività umane e circa il 25% delle emissioni di anidride carbonica, mitigando gli impatti climatici. Tuttavia, ciò ha un costo elevato, poiché l’oceano deve affrontare un riscaldamento, un’acidificazione e una perdita di biodiversità senza precedenti.

Il rapporto Advancing the Protection Principle delinea raccomandazioni cruciali per i politici e le parti interessate, tra cui l’approvazione del principio di protezione come obiettivo ambizioso a Nizza, l’eliminazione della pesca dannosa e di altri sussidi dannosi per l’ambiente, una moratoria sull’estrazione mineraria in acque profonde e sulla pesca a strascico d’altura, e la protezione dell’Oceano Meridionale e del Mar Mediterraneo. Queste azioni ambiziose mirano ad affrontare le crisi ambientali efficacemente interconnesse: cambiamento climatico, perdita di biodiversità e inquinamento.

A Nizza, a sostegno del principio di tutela dei diritti e della giustizia dell’oceano

A Nizza, i governi dovrebbero approvare il Principio di Protezione per trasformare il modo in cui gestiamo la nostra biodiversità oceanica condivisa, ripensando gli approcci ai diritti di accesso, alle responsabilità e alle quote, soprattutto perché il cambiamento climatico intensifica le pressioni sugli ecosistemi marini. Questo nuovo quadro si allinea con la nozione emergente di diritti dell’oceano e affronta i principi alla base della giustizia oceanica, che richiedono un uso equo e sostenibile delle risorse oceaniche, in particolare per le popolazioni indigene e le comunità costiere vulnerabili che dipendono dall’oceano per il loro sostentamento e il loro patrimonio culturale.

Il tempo per l’oceano sta per scadere. Se i governi non coglieranno l’opportunità di Nizza di invertire la tendenza, uno tsunami di conseguenze – l’innalzamento dei mari, la morte delle barriere coralline e il collasso della pesca – raggiungerà presto le nostre coste.

Per scaricare Advancing the Protection Principle clicca qui

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Misurare il battito cardiaco dei coralli subtropicali http://www.semidiscienza.it/2021/07/19/misurare-il-battito-cardiaco-dei-coralli-subtropicali/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=misurare-il-battito-cardiaco-dei-coralli-subtropicali http://www.semidiscienza.it/2021/07/19/misurare-il-battito-cardiaco-dei-coralli-subtropicali/#respond Mon, 19 Jul 2021 20:03:43 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=1439 Tutti sapranno che i coralli sono degli organismi particolari che popolano i reef tropicali, dal Mar Rosso a quelli più famosi dell’Indonesia equatoriale, fino ai Caraibi e all’Australia. Tuttavia, possiamo trovare coralli anche negli ambienti subtropicali o negli ambienti profondi, con una grande importanza in termini di biodiversità e servizi ecosistemici. Questi invertebrati riescono a vivere in ambienti “estremi” tramite degli adattamenti metabolici che hanno attuato nel corso del loro processo evolutivo.

Come altri organismi animali, i coralli acquisiscono l’energia metabolica tramite l’assunzione di micro- e macronutrienti. L’energia deriva però da due processi principali: la fotosintesi, tramite le zooxantelle (microalghe dinoflagellate), dove la luce viene utilizzata come fonte di energia per favorire l’assorbimento della CO2 e il rilascio dell’ossigeno; e l’attività respiratoria, dove l’ossigeno viene utilizzato per il metabolismo cellulare per stimolare l’assorbimento dei sali carbonati e del carbonio inorganico disciolto in acqua, e quindi supportare la calcificazione e la crescita. Sebbene questi scambi gassosi garantiscano la maggior parte dell’uptake energetico in maniera autonoma, parte dell’energia arriva dalla cattura del cibo sospeso nell’acqua tramite i tentacoli, generalmente formato da micro-zooplancton, come piccoli crostacei, o anche piccole microalghe. Questa relazione è una simbiosi mutualistica dove entrambe le parti beneficiano di questo trasferimento di energia e si supportano a vicenda.

Tuttavia, i coralli sono degli organismi invertebrati sessili e, in quanto tali, devono adattarsi all’ambiente in cui vivono. Se consideriamo che in genere i reef tropicali sono caratterizzati da mari profondi, con forti correnti, e da temperature relativamente stabili, negli ambienti subtropicali, invece, gli organismi marini sono soggetti a elevate fluttuazioni delle condizioni ambientali quali temperatura, salinità e pH. Questo perché meteorologicamente c’è una chiara distinzione tra la stagione secca, l’inverno, e la stagione delle piogge, ovvero l’estate. Considerando anche il periodo di transizione tra queste due stagioni, quindi, dobbiamo tener conto anche dei cambiamenti che avvengono durante la primavera e l’autunno. Questo è molto simile in realtà a ciò che avviene sulla terra, dove sia gli organismi animali che vegetali subiscono i cambiamenti ambientali stagionali e la natura si è evoluta per vivere in queste condizioni.

Di particolare interesse è la situazione degli ambienti coralligeni subtropicali costretti a vivere in condizioni ambientali “estreme”. Soprattutto si considerano gli effetti dei cambiamenti climatici globali su questi organismi. Attualmente stiamo osservando un continuo aumento delle temperature a causa del riscaldamento globale, un abbassamento del pH e acidificazione degli oceani, derivante dalle attività umane. È estremamente importante quindi studiare i coralli che vivono in questi ambienti marginali, un laboratorio naturale per comprendere meglio come questi organismi si sono adattati, e come attuano gli adattamenti metabolici regolando l’energia metabolica a seconda delle condizioni in cui essi vivono.

Riguardo queste tematiche si sono focalizzati gli studi degli scienziati della City University di Hong Kong. In particolare i ricercatori hanno studiato il metabolismo del corallo della madrepora cervello Platygyra carnosa in condizioni in situ e in laboratorio, tramite l’uso di un respirometro subacqueo. In particolare, uno strumento innovativo chiamato CISME (Community In Situ Metabolism), è stato sviluppato dai ricercatori della University of North Carolina (USA) e i protocolli sono stati stabiliti dai ricercatori di Hong Kong. Grazie a questo strumento, ora è possibile misurare le variazioni di ossigeno e pH direttamente dalla superficie dei coralli senza la necessità di dover raccogliere o frammentare la colonia di coralli. Un po’ come misurare il nostro battito cardiaco in maniera non invasiva. Questo è molto importante in chiave di conservazione, perché adesso siamo in grado di effettuare delle misure di monitoraggio diretto sia ambientale che biologico. L’innovativa tecnica, che è stata pubblicata recentemente in un giornale scientifico, ha l’obiettivo di misurare i tassi metabolici dei coralli e di individuare i limiti fisiologici oltre i quali essi vanno in deficit energetico. In questo modo possiamo anche identificare i fattori di stress che essi incontrano, in modo da fare un confronto con i coralli che vivono nelle aree tropicali nonché stimare le loro condizioni nei prossimi anni o nel prossimo secolo in base alle previsioni dei cambiamenti climatici. Il fine ultimo è quello di comprendere se i coralli sopravvivranno alle prossime sfide climatiche e quale specie sarà capace di crescere e riprodursi in condizioni estreme.

Autore: Walter Dellisanti, Dottorato in Scienze Biomediche presso la City University of Hong Kong, attualmente ricercatore Postdoc presso la Hong Kong Polytechnic University.

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“Questione di “reti”: di biodiversità e aree protette” http://www.semidiscienza.it/2019/08/19/questione-di-reti-di-biodiversita-e-aree-protette/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=questione-di-reti-di-biodiversita-e-aree-protette http://www.semidiscienza.it/2019/08/19/questione-di-reti-di-biodiversita-e-aree-protette/#respond Mon, 19 Aug 2019 08:58:28 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=616 Pochi mesi fa l’IPBES, il panel intergovernativo ONU su biodiversità e servizi ecosistemici, ha pubblicato un rapporto sullo stato di salute della biodiversità mondiale che è stato accolto con molta comprensibile preoccupazione. Secondo i 145 esperti provenienti da tutto il mondo, che per confezionare il report hanno revisionato circa 15.000 fonti scientifiche e governative, un milione di specie, tra animali e vegetali, sono a rischio estinzione in un prossimo futuro. La biodiversità, ossia la ricchezza vivente di un dato luogo, ci arricchisce e dona vita in vario modo: tutto ciò che mangiamo, l’acqua potabile che beviamo, l’aria che respiriamo, i nostri passatempi, le mete dei nostri viaggi, la nostra salute e talvolta anche il nostro lavoro hanno a che fare con un buono stato di salute di questa finita ricchezza.

 Quali sono le azioni che logorano e indeboliscono la fitta trama di connessioni di tutto questo importantissimo patrimonio naturale? La distruzione dei territori, l’introduzione di specie altamente invasive, l’inquinamento dei mari, del suolo, dell’aria, la crisi climatica in atto sono tra i maggiori attori protagonisti della perdita di biodiversità, dell’allentamento della rete vivente e di tutte le sue connessioni. Per rallentare questo continuo declino abbiamo creato (e dobbiamo necessariamente continuare a farlo) delle aree che mirino non solo alla protezione degli ambienti naturali più in pericolo e maggiormente rari, ma anche ad una necessaria armonizzazione delle attività umane in rapporto alla Natura che si vuole tutelare: i parchi naturali, quelli regionali e nazionali, le aree e le riserve protette, le zone umide, le aree marine protette, i Siti di Importanza Comunitaria e le Zone di Protezione Speciale. In tutta Italia, queste aree arrivano a coprire circa il 19% della superficie nazionale con importanti ricadute positive sui territori locali in cui sono state istituite come la protezione dal dissesto idrogeologico, la difesa dagli eventi estremi, l’influsso positivo sulla psicologia e il comportamento personale e molto altro.

La necessità di creare e gestire parchi e aree protette è ribadito con chiarezza dall’articolo 8 della Convenzione Internazionale sulla Biodiversità e dall’Obiettivo 7 del Millennium Development. Ad oggi il 12% della superficie del Pianeta è riconosciuta come area protetta, una percentuale positiva ma piena di lacune: non tutti gli ecosistemi infatti sono protetti in modo adeguato e molte aree protette non sono gestite o lo sono soltanto parzialmente, o addirittura mancano gli strumenti di tutela. Per questo motivo non basta soltanto aumentare la superficie protetta, ma dobbiamo far si che queste aree ricevano fondi opportuni e che lavorino bene per il mantenimento del patrimonio naturale. In più servirebbe che anche nelle città e nelle periferie prendesse piede il logico pensiero di unire, tramite corridoi ecologici, i vari parchi cittadini e le aree verdi e loro ai grandi parchi e riserve di cui si parlava prima. Creando un’idea tangibile di Parco “diffuso” anche all’interno di quello che è oggi chiamato “ecosistema urbano”. Anche a livello legislativo, non soltanto per l’Italia, ma anche per l’Unione Europea è importante che gli strumenti legislativi come la Direttiva Habitat e la Direttiva Uccelli non siano indeboliti, ma che anzi, vengano messi maggiormente in atto.

E infine una provocazione: “Chissà se arriveremo mai a veder realizzato l’auspicio necessario che il biologo E. Wilson propone nel suo più recente lavoro “Metà della Terra”: la soluzione apparentemente estrema di destinare il 50% della superficie del pianeta (oceani inclusi) alla natura. Niente essere umano, artifici, tecnologia, solo natura. Creare una “rete globale di riserve inviolabili che coprano metà della superficie della Terra”. La proposta è affascinante e, immaginiamo, al momento irrealizzabile. Eppure nasce da precisi ragionamenti tecnici (“una soluzione commisurata alla gravità del problema”, dice Wilson) e porta con se un principio fondamentale, di assoluta evidenza: se nel mondo esistono decine di milioni di specie viventi, di cui una è Homo sapiens, la divisione 50 e 50 (50% all’essere umano e 50% a tutte le altre) è così insensata?”

Andrea Somma, naturalista e membro nazionale del direttivo della LIPU.

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