{"id":1459,"date":"2021-09-21T18:09:42","date_gmt":"2021-09-21T18:09:42","guid":{"rendered":"http:\/\/www.semidiscienza.it\/?p=1459"},"modified":"2022-11-28T16:46:37","modified_gmt":"2022-11-28T16:46:37","slug":"il-buco-dellozono","status":"publish","type":"post","link":"http:\/\/www.semidiscienza.it\/2021\/09\/21\/il-buco-dellozono\/","title":{"rendered":"Il buco dell\u2019ozono"},"content":{"rendered":"\n

In questo articolo parliamo di un tema ancora purtroppo attuale: l\u2019impoverimento dell\u2019ozono della stratosfera, comunemente noto come \u201cbuco dell\u2019ozono\u201d. <\/p>\n\n\n\n

Come premessa \u00e8 opportuno ricordare che la presenza \u201cbenefica\u201d dell\u2019ozono negli strati alti dell\u2019atmosfera (20-30 km) non deve essere confusa con l\u2019inquinamento da ozono all\u2019altezza del suolo, che provoca irritazione alle nostre vie respiratorie soprattutto in periodo estivo (il che ci porta a ricordare che la scarsa qualit\u00e0 dell\u2019aria non \u00e8 un problema solo invernale). L\u2019ozono stratosferico, infatti, genera una sorta di schermo dalla radiazione solare ultravioletta proteggendo il pianeta dai potenziali danni permanenti alle cellule animali (e quindi anche umane) e dagli effetti nocivi sulla crescita dei vegetali. Una riduzione dell\u2019ozono in stratosfera comporta quindi l\u2019arrivo di un maggior quantitativo di raggi UV al suolo.<\/p>\n\n\n\n

L\u2019uomo, liberando in atmosfera sostanze chiamate ODS (Ozone Depleting Substances) quali i noti \u201cCFC\u201d (impiegati come refrigeranti, solventi e agenti propellenti nell\u2019industria e nella vita di tutti i giorni) ha determinato negli anni l\u2019assottigliamento di questo schermo protettivo in alcune aree del pianeta. <\/p>\n\n\n\n

Tra quelle pi\u00f9 fragili vi \u00e8 il Polo Sud, che con le sue condizioni ambientali estreme vede ogni anno un drastico calo dello spessore dello strato di ozono al termine dell\u2019inverno polare (con il ritorno di una maggior radiazione solare).\u00a0Al Polo Nord, questa problematica \u00e8 generalmente meno comune grazie alla minore intensit\u00e0 e durata del freddo in stratosfera per effetto delle correnti oceaniche (sotto i -80\u00b0C si generano le nubi stratosferiche polari che innescano i meccanismi chimici causa della deplezione dell\u2019ozono).<\/p>\n\n\n\n

Nonostante il Protocollo di Montreal del 1987, che ha portato ad alcuni segnali di \u201cguarigione\u201d, la problematica non \u00e8 ancora risolta poich\u00e9 queste sostanze sono tuttora circolanti in atmosfera. Nel 2020 cos\u00ec come nel 1997 e nel 2011 si sono generati dei \u201cbuchi\u201d nel Polo Nord che verso la primavera si sono dispersi come masse d\u2019aria arrivando fino all\u2019Europa. <\/p>\n\n\n\n

Da uno studio recente a cui hanno partecipato il CNR e l\u2019ARPA Valle d\u2019Aosta (The 2020 Arctic ozone depletion and signs of its effect on the ozone column at lower latitudes<\/em>, consultabile all\u2019indirizzo https:\/\/rdcu.be\/cxWkt<\/a>) emerge che nel nord Italia si sono verificati valori di radiazione UV superiori alla media nel periodo compreso tra aprile e maggio 2020. I ricercatori affermano che si tratti di \u201cun evento raro, ma che potrebbe diventare sempre pi\u00f9 probabile col riscaldamento globale\u201d e che la problematica \u00e8 \u201cfortunatamente tornata ai suoi valori tipici in poche settimane e le variazioni osservate nei mesi di aprile e maggio 2020 (un aumento di circa il 20%) non devono destare eccessiva preoccupazione, sia per la durata limitata del fenomeno sia perch\u00e9 oggi si dispone di tutta l\u2019informazione necessaria per proteggerci\u201d. <\/p>\n\n\n\n

L\u2019evento, tuttavia, \u00e8 rappresentativo in ottica scientifica poich\u00e9 dalle sei stazioni europee di monitoraggio (dalle Svalbard a Roma passando per Aosta) \u00e8 stato possibile ricostruire il movimento delle masse povere di ozono dal Polo Nord fino al Mediterraneo. I dati hanno confermato l\u2019origine artica dell\u2019evento ma hanno inoltre evidenziato, nella complessit\u00e0 del fenomeno, il verificarsi di ulteriori interferenze e sinergie locali nelle maggiori radiazioni UV registrate nel periodo. Secondo i ricercatori, una delle cause \u00e8 imputabile alla riduzione del particolato al suolo, in grado anch\u2019esso di assorbire i raggi UV, per effetto del lockdown. In Valle d\u2019Aosta, alla tipica risalita degli inquinanti atmosferici dalla Pianura Padana (che ha compensato parte della riduzione delle emissioni durante il lockdown), la radiazione si \u00e8 riscontrata elevata anche per effetto di alcune giornate serene e secche su tutta l\u2019Europa nella primavera 2020. \u00c8 opportuno ricordare, come citato dall\u2019ARPA, che per l\u2019incidenza della radiazione UV al suolo, \u201calcuni studi evidenziano un possibile ruolo delle emissioni da traffico aereo sull\u2019ozono a quote intermedie (libera troposfera)\u201d.<\/p>\n\n\n\n

Infine, abbiamo citato poco fa l\u2019interferenza del cambiamento climatico. Pare, infatti, che un contributo a una pi\u00f9 frequente formazione del buco dell\u2019ozono artico sia imputabile all\u2019effetto serra (ovvero all\u2019innalzamento delle temperature al suolo) che innesca un contrapposto raffreddamento della stratosfera, alla radice di tale deplezione. Gli autori concludono che anche attraverso il monitoraggio in continuo della radiazione UV si potranno osservare i rischi a livello locale connessi ai fenomeni globali complessi.<\/p>\n\n\n\n

Autore: Matteo Bo – socio, ingegnere ambientale<\/em><\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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