Pillole di sostenibilità
Oggi parliamo di sostenibilità della produzione di cibo e faremo riferimento ad alcuni scritti di Gabriele, aggiungendo qualche recente notizia e integrando con qualche ulteriore dato. Buona lettura! Seguiteci e aiutateci a dipingere insieme il nostro futuro!
Benvenuto Antropocene!
Nel sistema terrestre i nutrienti essenziali per la vita vengono continuamente riciclati, circolarmente, da micro e macrorganismi per poter essere riutilizzati da tutti gli esseri viventi a tutti i livelli della rete trofica: si parla di cicli biogeochimici, e ogni elemento chimico ha il suo. Anche una molecola di acqua ha un ciclo: si parla di ciclo idrologico. Tutte le attività svolte dall’umanità, piccole o grandi che siano, hanno un impatto sull’ambiente naturale e di conseguenza sui cicli biogeochimici. Le attività antropiche che hanno generato i grandi problemi globali quali il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità hanno anche alterato il ciclo di due elementi chimici essenziali per tutti gli esseri viventi come l’azoto e il fosforo (potete approfondire l’argomento ricercando sul motore di ricerca lo studio sui confini planetari portato avanti da Johan Rockström dello Stockholm Resilience Center e Will Steffen della Australian National University). Tutti questi processi si influenzano a vicenda, provocando una perturbazione molto significativa dell’equilibrio biologico, geologico, chimico e fisico dell’intero pianeta.
In questo contesto l’agricoltura impersona un ruolo molto particolare, in quanto l’attuale modello intensivo è al tempo stesso carnefice a vittima della crisi climatica, delle alterazioni del ciclo dell’azoto e del fosforo e del processo di degrado degli ecosistemi. Il modello industriale di produzione del cibo contribuisce al mutamento del clima con il 35% delle emissioni di anidride carbonica, metano e protossido di azoto, e consuma il 38% del suolo utile e il 70% dell’acqua; l’agricoltura intensiva ha già distrutto o trasformato radicalmente il 70% dei pascoli, il 50% delle savane, il 45% delle foreste decidue temperate e il 25% delle foreste tropicali. Nello stesso tempo il comparto agricolo subisce le conseguenze negative di tutti questi fenomeni, e vede seriamente minacciate le sue capacità produttive. Nell’ambito specifico della produzione zootecnica e ittica, gli allevamenti intensivi per la produzione di carne sono il settore che su molteplici fronti genera la maggiore quantità di effetti collaterali. Quanto agli stock ittici, il 48% di quelli atlantici e il 93% di quelli mediterranei è sovrasfruttato: alla fine di marzo 2019 l’Italia ha esaurito la sua produzione interna, e da quel momento in poi, fino alla fine dell’anno, ha dovuto dipendere interamente dall’importazione di pescato dai paesi in via di sviluppo. A partire dal 7 luglio 2019 la stessa condizione si è realizzata per l’intera Europa. Le strategie ormai irrimandabili finalizzate a migliorare la sostenibilità del nostro sistema ci obbligano a costruire e diffondere molto rapidamente dei modelli alternativi di produzione del cibo che possano fare a meno degli idrocarburi, rispettino criteri di alta efficienza e alta resilienza, funzionino con logiche di economia circolare, e siano attuabili anche in ambiti urbani e periurbani, onde poter contribuire all’autosufficienza alimentare dei grandi centri abitati nei quali oggi vive più della metà della popolazione mondiale.
L’Unione Europea definisce questi obiettivi come priorità da mettere in atto entro il traguardo cruciale del 2050.
Servono idee, ma soprattutto investimenti.
Lascia un commento