yuri galletti – Semi di Scienza https://www.semidiscienza.it Tue, 17 Dec 2024 19:59:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8.10 https://www.semidiscienza.it/wp-content/uploads/2019/01/cropped-Semi-di-scienza-1-32x32.png yuri galletti – Semi di Scienza https://www.semidiscienza.it 32 32 Advancing the Protection Principle https://www.semidiscienza.it/2024/12/17/advancing-the-protection-principle/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=advancing-the-protection-principle https://www.semidiscienza.it/2024/12/17/advancing-the-protection-principle/#respond Tue, 17 Dec 2024 19:59:18 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=3017

La nuova pubblicazione Advancing the Protection Principle di Let’s Be Nice to the Ocean, pubblicata il 30 ottobre 2024 a Cali, Colombia, in occasione della COP sulla Biodiversità, delinea le proposte chiave per migliorare la conservazione degli oceani attraverso il Principio di Protezione alla prossima Terza Conferenza delle Nazioni Unite sull’Oceano (UNOC3) che si terrà a Nizza, in Francia, nel giugno 2025.

Il Principio di Protezione chiede che la protezione degli oceani diventi la norma, non l’eccezione, garantendo che l’onere della prova ricada sulle industrie estrattive e inquinanti, in modo che la preservazione e il ripristino della salute degli oceani e degli ecosistemi abbiano la precedenza sullo sfruttamento.

“Il documento chiede che il Piano d’azione per l’oceano di Nizza, nel giugno 2025, approvi il principio di protezione come obiettivo ambizioso” ha detto Rémi Parmentier, autore di Advancing the Protection Principle.

Con questo in mente, come movimento Let’s Be Nice to the Ocean proponiamo che il Piano d’azione per l’oceano di Nizza accetti di formare un gruppo ad hoc per redigere un rapporto su modalità e opzioni e una tabella di marcia prima della quarta conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani nel 2028.

Perché adesso?

Il ruolo dell’oceano come “sala macchine” del sistema climatico globale è inconfutabile. Assorbe il 90% del calore in eccesso generato dalle attività umane e circa il 25% delle emissioni di anidride carbonica, mitigando gli impatti climatici. Tuttavia, ciò ha un costo elevato, poiché l’oceano deve affrontare un riscaldamento, un’acidificazione e una perdita di biodiversità senza precedenti.

Il rapporto Advancing the Protection Principle delinea raccomandazioni cruciali per i politici e le parti interessate, tra cui l’approvazione del principio di protezione come obiettivo ambizioso a Nizza, l’eliminazione della pesca dannosa e di altri sussidi dannosi per l’ambiente, una moratoria sull’estrazione mineraria in acque profonde e sulla pesca a strascico d’altura, e la protezione dell’Oceano Meridionale e del Mar Mediterraneo. Queste azioni ambiziose mirano ad affrontare le crisi ambientali efficacemente interconnesse: cambiamento climatico, perdita di biodiversità e inquinamento.

A Nizza, a sostegno del principio di tutela dei diritti e della giustizia dell’oceano

A Nizza, i governi dovrebbero approvare il Principio di Protezione per trasformare il modo in cui gestiamo la nostra biodiversità oceanica condivisa, ripensando gli approcci ai diritti di accesso, alle responsabilità e alle quote, soprattutto perché il cambiamento climatico intensifica le pressioni sugli ecosistemi marini. Questo nuovo quadro si allinea con la nozione emergente di diritti dell’oceano e affronta i principi alla base della giustizia oceanica, che richiedono un uso equo e sostenibile delle risorse oceaniche, in particolare per le popolazioni indigene e le comunità costiere vulnerabili che dipendono dall’oceano per il loro sostentamento e il loro patrimonio culturale.

Il tempo per l’oceano sta per scadere. Se i governi non coglieranno l’opportunità di Nizza di invertire la tendenza, uno tsunami di conseguenze – l’innalzamento dei mari, la morte delle barriere coralline e il collasso della pesca – raggiungerà presto le nostre coste.

Per scaricare Advancing the Protection Principle clicca qui

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Trattato globale sulla plastica, INC-5 chiude senza accordo: si va al 2025 https://www.semidiscienza.it/2024/12/04/trattato-globale-sulla-plastica-inc-5-chiude-senza-accordo-si-va-al-2025/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=trattato-globale-sulla-plastica-inc-5-chiude-senza-accordo-si-va-al-2025 https://www.semidiscienza.it/2024/12/04/trattato-globale-sulla-plastica-inc-5-chiude-senza-accordo-si-va-al-2025/#respond Wed, 04 Dec 2024 11:14:00 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=3013 di Tosca Ballerini, articolo già pubblicato su Materia Rinnovabile: https://www.renewablematter.eu/trattato-globale-sulla-plastica-inc-5-chiude-senza-accordo-rimandato-2025

Il quinto ciclo di negoziati (INC-5) per uno strumento internazionale giuridicamente vincolante (Internationally Legally Binding Instrument, ILBI) contro l’inquinamento da plastica si è chiuso a Busan, in Corea del Sud, alle 2:50 del mattino di lunedì 2 dicembre senza un accordo. Il Comitato intergovernativo di negoziazione ha deciso di riunirsi nuovamente in una sessione aggiuntiva nel 2025 nella quale le negoziazioni riprenderanno sulla base di un documento informale prodotto dal Presidente di INC, Vayas Valdivieso.

Secondo l’agenda dei lavori, i delegati avrebbero dovuto lavorare in quattro gruppi di contatto per arrivare a produrre una bozza sostanziale dell’ILBI entro venerdì 29 novembre. Questo avrebbe dato il tempo al Legally Drafting Group di esaminare la bozza dell’accordo prima della sua adozione da parte dei negoziatori entro domenica 1° dicembre. I lavori però sono andati a rilento e i negoziatori non sono riusciti a produrre nessun testo. Tre i punti sui quali c’è stato il maggior disaccordo: prodotti e sostanze chimiche problematiche utilizzate nei prodotti di plastica (bozza dell’articolo 3 nel terzo non paper di Vayas Valdivieso); produzione (supply, bozza dell’articolo 6); finanza, compresa l’istituzione di un meccanismo finanziario (bozza dell’articolo 11).

Trattato globale sulla plastica, i punti critici

Per le bozze dell’articolo 3 e dell’articolo 6, le opinioni dei negoziatori andavano dall’esclusione totale della questione dall’ILBI (posizione mantenuta dai Like-minded countries e dal gruppo arabo), alle proposte di elenchi dei prodotti e delle sostanze chimiche più dannose da vietare nei prodotti di plastica e dell’introduzione di un obiettivo globale per ridurre la produzione di polimeri plastici primari a livelli sostenibili e promuovere l’economia circolare, adottando misure lungo l’intero ciclo di vita della plastica (posizione mantenuta dai paesi della High Ambition Coalition e da altri “stati volenterosi).

Sulla bozza dell’articolo 11, le opinioni condivise includevano la necessità di un meccanismo finanziario dedicato e autonomo, finanziato principalmente dai paesi sviluppati che avrebbe facilitato i paesi in via di sviluppo nell’attuazione del futuro trattato. Includevano anche un meccanismo finanziario, finanziato da tutte le parti e da fonti aggiuntive, tra cui l’industria.

Non si è trovato un accordo neanche su alcuni argomenti che sembravano essere meno divisivi, come la gestione dei rifiuti. Durante la riunione plenaria di mercoledì 27 novembre, la maggior parte dei negoziatori ha espresso frustrazione riguardo le tattiche dilatorie messe in atto dal gruppo dei Like-minded countries. “Questa situazione si sta trasformando in una mini COP sul clima”, ha detto il giorno dopo un delegato sottolineando le “tattiche dilatorie simili” a quelle osservate durante i negoziati sul clima. Il riferimento è all’utilizzazione del consenso per bloccare ogni progresso. Ad apertura dei lavori, il 25 novembre, India, Federazione Russa, Kazakistan, Bahrein, Egitto, Arabia Saudita per il gruppo arabo e Kuwaitper i Like-mindedcountries avevano ribadito che tutte le decisioni su questioni sostanziali avrebbero dovuto essere prese tramite consenso e che la regola procedurale 38.1 (che prevede il ricorso al voto qualora non sia trovi il consenso) non avrebbe dovuto essere invocata.

Gli sforzi di Vayas Valdivieso e le consultazioni a porte chiuse

Per cercare di superare lo stallo nelle negoziazioni, venerdì 29 novembre Vayas Valdisvieso ha interrotto i lavori dei gruppi di contatto e intrapreso delle consultazioni informali a porte chiuse. Sulla base delle opinioni raccolte dai delegati dei vari paesi, Vayas Valdivieso ha prodotto un nuovo documento informale (il suo  quarto non-paper) che è stato fatto circolare nella sera. Secondo gli osservatori, la decisione del presidente di INC di produrre una nuova bozza del testo dell’accordo è stata una mossa coraggiosa e “potenzialmente uno dei momenti più significativi della trattativa”. In plenaria l’Arabia Saudita aveva infatti detto che il rischio maggiore sarebbe stato quello di “vedersi paracadutare un testo dall’alto”.

Le consultazioni informali a porte chiuse sono continuate anche sabato 30, quando hanno cominciato a circolare voci di un INC-5.2 o di un’estensione della riunione in corso fino a martedì 3 dicembre. Nel pomeriggio di domenica 1° dicembre Vayas Valdivieso ha reso pubblica una quinta versione del suodocumento informale (Chair’s Text). Nella plenaria finale di domenica sera, i delegati hanno deciso di aggiornare la seduta a una prossima riunione nel 2025, e alla 1:13 del mattino di lunedì 2 dicembre hanno accettato il nuovo testo del presidente di INC come base per le negoziazioni.

“Sebbene INC-5 abbia visto progressi sul testo, non è riuscito ad affrontare i problemi politici e procedurali di fondo che hanno rovinato questo processo fin dall’inizio”, ha detto a Materia Rinnovabile Magnus Løvold della Norwegian Academy of International Law.“Penso che sempre più paesi vedano che alcuni dei paesi coinvolti, come l’Arabia Saudita e la Russia, stanno negoziando in malafede e non accetteranno mai un trattato, per non parlare di un trattato efficace. Affinché INC-5.2 abbia successo, i paesi ambiziosi devono lasciarsi alle spalle gli spoiler e concludere un trattato senza di loro. Questo è chiaramente l’unico modo. Le dichiarazioni congiunte rilasciate in plenaria da Ruanda e Messico mostrano che c’è una maggioranza progressista che potrebbe essere disposta a farlo.”

Ruanda, Messico e Panama alla guida dei paesi volenterosi

Nella plenaria di domenica sera, Juliet Kabera, negoziatrice del Ruanda (paese co-chair assieme alla Norvegia della High Ambition Coalition), parlando a nome di 85 stati ha espresso “forti preoccupazioni circa le continue richieste da parte di un piccolo gruppo minoritario di paesi di rimuovere dal testo le disposizioni vincolanti che sono indispensabili affinché il trattato sia efficace”. Alla fine del suo intervento ha chiesto ai presenti in sala di alzarsi in piedi se fossero stati d’accordo con un trattato globale forte. Quasi tutta la sala si è alzata in piedi, un segno molto chiaro di ambizione. Dopo di lei, Camila Zepeda del Messico ha iniziato il suo intervento leggendo i nomi dei 95 paesi che hanno sottoscritto una disposizione “legalmente vincolante” per “eliminare gradualmente” i prodotti di plastica più dannosi e le sostanze chimiche preoccupanti utilizzate nella loro produzione.

In una conferenza stampa per gli stati membri che si era tenuta prima della assemblea plenaria, gli stati in via di sviluppo e i membri dell’UE insieme hanno dato una “dimostrazione eroica di forza”. Juan Carlos Monterrey di Panama aveva detto: “Questa non è un’esercitazione, questa è una lotta per la sopravvivenza. La plastica non è comoda, è un’arma di distruzione di massa. Se non otteniamo un ambizioso trattato di Busan sarà un tradimento… la storia non ci perdonerà”. Secondo il Center for International Environmental Law (CIEL), anche l’UE ha svolto un “ruolo cruciale”: Anthony Agotha ​​(UE) e Olga Givernet (Francia) hanno entrambi rilasciato dichiarazioni a favore della produzione e di altre misure ambiziose.

“Quello che abbiamo visto a Busan è stata un’arma del consenso da parte di un piccolo numero di paesi per bloccare i progressi e indebolire i negoziati”,ha detto David Azoulay, Direttore di Environmental Health a CIEL. “Dobbiamo resistere all’idea che questo processo sia destinato a rimanere paralizzato dall’ostruzione. Alla prossima sessione, i paesi devono chiarire una volta per tutte che sono pronti a usare tutte le opzioni, incluso il voto, per realizzare il trattato che continuano a sostenere sia necessario”.

Molti lobbysti ai negoziati per il Trattato globale sulla plastica

Nel secondo giorno di negoziazioni i rappresentanti della società civile hanno denunciato l’organizzazione di INC-5 per le disposizioni che limitavano gravemente la partecipazione ai negoziati. Nonostante i quasi 1.900 partecipanti all’INC, i lavori dei gruppi di contatto erano stati tenuti in stanze con solo 60 posti assegnati ai partecipanti non membri, una cifra che ammonta al 3% dei partecipanti registrati. La situazione è stata poi risolta nei giorni successivi.

Sempre martedì 26 novembre, un’analisi di CIEL ha mostrato che 220 lobbisti dell’industria chimica e dei combustibili fossili erano registrati per partecipare all’INC-5. Presi insieme, sarebbero il singolo paese più grande. Per fare un paragone: la Repubblica di Corea, paese ospitante, aveva 140 rappresentanti, le delegazioni dell’Unione Europea e di tutti i suoi stati membri insieme 191, mentre gli scienziati indipendenti della Scientists’ Coalition for an Effective Plastics Treaty erano 70.

“Come scienziati indipendenti, siamo preoccupati che la scienza sia stata usata impropriamente per creare confusione e ritardi da parte di alcuni stati membri”, ha detto Trisia Farrelly, professoressa e membro onorario presso la Massey University e scienziata senior presso il Cawthron Institute (Nuova Zelanda) in un comunicato stampa della Scientists’ Coalition rilasciato dopo la chiusura di INC-5. “Ciò sottolinea ulteriormente l’importanza di una scienza e di strategie indipendenti e solide per impedire che i conflitti di interesse facciano deragliare il futuro trattato.”

In una conferenza stampa dell’International Indigenous Peoples’ Forum on Plastics tenutasi sabato 30 novembre, i rappresentanti indigeni hanno detto, in riferimento alle consultazioni informali a porte chiuse: “Siamo stati messi a tacere e sottovalutati strategicamente” in queste negoziazioni. “Come si può parlare di una giusta transizione, quando non ci viene dato uno spazio al tavolo?”

Immagine: Camila Isabel Zepeda Lizama, Messico, a nome di 95 paesi. Foto: IISD/ENB – Kiara Worth

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Trattato globale sulla plastica: meglio un accordo debole o nessun accordo? https://www.semidiscienza.it/2024/12/01/trattato-globale-sulla-plastica-meglio-un-accordo-debole-o-nessun-accordo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=trattato-globale-sulla-plastica-meglio-un-accordo-debole-o-nessun-accordo https://www.semidiscienza.it/2024/12/01/trattato-globale-sulla-plastica-meglio-un-accordo-debole-o-nessun-accordo/#respond Sun, 01 Dec 2024 16:23:31 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=3007 di Tosca Ballerini, articolo già pubblicato su Materia Rinnovabile: https://www.renewablematter.eu/trattato-globale-sulla-plastica-meglio-un-accordo-debole-o-nessun-accordo

Inizia oggi, 25 novembre 2024, a Busan, Corea del Sud, il quinto e ultimo ciclo di negoziati (INC-5) per un trattato globale sulla plastica che dovrebbe concludersi il 1° dicembre. Sono passati due anni e mezzo dallo storico accordo del 2 marzo 2022 con il quale la quinta Assemblea dell’ambiente delle Nazioni Unite (UNEA-5.2) ha richiesto al direttore esecutivo del Programma per l’ambiente (UNEP) delle Nazioni Unite di convocare un Comitato intergovernativo di negoziazione (INC) per sviluppare uno strumento giuridicamente vincolante che affronti l’intero ciclo di vita della plastica entro il 2024. Ma i punti di disaccordo tra i paesi continuano a essere più numerosi dei punti di convergenza e i rimanenti sette giorni di negoziati sembrano essere insufficienti per concludere un accordo efficace.

La posta in gioco è sapere se prevarranno gli obiettivi ambientali e la tutela della salute umana, tramite un accordo che affronti la proliferazione della plastica in tutte le fasi dalla produzione allo smaltimento come vorrebbe la High Ambition Coalition To End Plastic Pollution, oppure gli interessi economici delle industrie petrolchimiche e dei paesi produttori di plastica (autodefinitesi i Like-minded Countries) che si oppongono a un trattato che includa obiettivi ambiziosi che limiterebbero o ridurrebbero la produzione primaria di plastica e vorrebbero ridurre lo scopo dell’accordo alla gestione dei rifiuti. Nel mezzo tra i due gruppi si trovano gli Stati Uniti, che nel giugno 2024 avevano annunciato il loro sostegno alla riduzione della produzione di plastica, ma hanno fatto marcia indietro dopo le recenti elezioni americane.

Like-minded Countries, guidati da Arabia Saudita, Iran e Russia, hanno messo in atto tattiche per fare deragliare le negoziazioni in tutti i precedenti cicli di negoziati (INC-1 a Punta del Este; INC-2 a Parigi; INC-3 a Nairobi; INC-4 a Ottawa) e di fatto si è arrivati a INC-5 con un testo di negoziazione ufficiale (la cosiddetta Bozza Zero Rivista) che non può essere usato per le negoziazioni perché eccessivamente lungo e incomprensibile e con un documento informale proposto dal presidente dell’INC, l’ambasciatore Luis Vayas Valdivieso dell’Ecuador, in cui non è presente nessuna opzione relativamente a obblighi di riduzione della produzione di plastica primaria. 

I 67 paesi della High Ambition Coalition hanno riaffermato in una dichiarazione ministeriale congiunta in vista di INC-5 la loro volontà di concludere un accordo entro la fine del 2024, e così hanno fatto i leader delle principali economie del mondo con la dichiarazione del G20 di Rio de Janeiro. Ma tra gli osservatori c’è il dubbio che concludere un accordo che non sia ambizioso potrebbe essere controproduttivo.

Il pericolo di un approccio start & strengthen

Con l’avvicinarsi dei negoziati finali sul trattato sulla plastica, c’è una spinta per fissare obiettivi globali”, ha detto Hélionor de Anzizu, senior attorney al Center for International Environmental Law (CIEL). “Tuttavia, senza obblighi nazionali vincolanti, il trattato rischia di diventare un accordo stile Parigi. Basarsi esclusivamente su obiettivi generali può portare ad azioni frammentate, sfide commerciali e attriti tra i mercati ed è probabile che ritardi un impatto significativo.”

Nell’ultimo periodo, infatti, si è parlato di adottare un approccio start & strengthen (iniziare e poi rafforzare), che però secondo CIEL rischia di essere problematico in quanto spesso fissa degli obiettivi globali ma rinvia le azioni necessarie per raggiungerli al futuro, senza alcuna garanzia che queste azioni di rafforzamento avvengano poi effettivamente. Come esempio del fallimento di questo approccio, CIEL cita la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici e l’Accordo di Parigi. Gli stati lasciati ad agire per conto proprio hanno creato un divario sostanziale tra lo scopo dell’accordo (limitare il riscaldamento terrestre entro i 2°C, e idealmente entro gli 1,5°C) e l’azione nazionale (i contributi determinati a livello nazionale NDCs che si sono rivelati insufficienti) che ha fatto sì che secondo le previsioni le temperature globali aumenteranno di 2,5°C/3,7°C entro il 2100.

“Una volta concordato il testo di un trattato, le decisioni della Conferenza delle Parti (COP) non hanno il potere di creare obblighi oltre il testo del trattato”, avverte CIEL. Infatti “le decisioni COP che possono creare nuovi obblighi sono gli emendamenti al testo del trattato o un nuovo protocollo, entrambi i quali necessitano la ratifica delle parti per entrare in vigore e spesso richiedono anni, se non decenni”.

Meglio una “coalizione dei volenterosi” al di fuori del processo negoziale dell’UNEP?

“Molti paesi sono determinati a ottenere un trattato veramente ambizioso, il che significa che deve includere un limite alla produzione di plastica”, spiega a Materia Rinnovabile Neil Tangri, direttore scientifico e politico della Global Alliance for Incinerator Alternatives GAIA. “Se i paesi spoiler frustrassero questo sforzo all’INC-5, ciò potrebbe causare un collasso dei negoziati. Un’altra possibilità è quella di abbandonare completamente [il processo di negoziazione all’interno dell’] UNEP, costringendo i paesi che vogliono risolvere il problema a negoziare con coloro che stanno cercando di vanificare i loro sforzi. I negoziati all’interno di una coalizione dei volenterosi sarebbero più rapidi, più produttivi e, in definitiva, più efficaci.”

Neil Tangri

Gli elementi chiave di un trattato efficace

“Un trattato efficace sulla plastica richiede l’attuazione di politiche lungo l’intero ciclo di vita della plastica”, ha detto a Materia Rinnovabile Tara Olsen, ricercatrice nella sezione Produzione, mercati e politica dell’Università di Copenaghen e membro della Scientists’ Coalition for an Effective Plastics Treaty. “Include l’attuazione di misure a monte per ridurre la produzione primaria di plastica (PPP). Ciò è particolarmente importante dato che secondo le previsioni dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) la produzione, l’uso e i rifiuti generati aumenteranno del 70% entro il 2040 rispetto al 2020. Riconoscendo le sfide scientifiche nel quantificare un obiettivo fisso di PPP a lungo termine, come la potenziale sottostima dei reali costi ambientali e socioeconomici, sottolineiamo l’importanza che l’obiettivo rimanga scientificamente informato e adattivo nel tempo per allinearsi con le più recenti scoperte scientifiche.”

Olsen è una dei quasi mille scienziati indipendenti che hanno firmato la Scientists’ Declaration for the Global Plastics Treaty, la cui versione aggiornata per INC-5 è stata resa nota sabato 23 novembre, chiedendo ai membri di INC di concordare un trattato globale ambizioso basato su prove scientifiche per porre fine all’inquinamento da plastica entro il 2040.

Tara Olsen

Secondo Andrés del Castillo, Senior Attorney a CIEL, e Lindsey Jurca Durland, Campaign Specialist a CIEL, oltre a un limite alla produzione di plastica con obiettivi nazionali obbligatori, gli elementi essenziali per un trattato sulla plastica efficace sono il divieto per sostanze chimiche tossiche preoccupanti, misure commerciali rivolte ai paesi che non ratificheranno l’accordo, meccanismi di governance che evitano di bloccare il processo a causa del consenso, meccanismi finanziari innovativi. I due esperti avvertono che durante le negoziazioni sarà necessario vigilare sulle tattiche di ritardo, l’influenza dell’industria (a INC-3 il numero dei lobbisti era superiore a quello dei delegati del G7, a INC-4 a quello dei delegati dell’UE e di 87 paesi messi insieme), il pericolo di compromessi al ribasso che sacrificano l’ambizione del trattato in nome della tempistica, oltre all’influenza del nuovo presidente degli Stati Uniti sul trattato.

La questione di quale sarebbe il migliore strumento legale internazionale per combattere l’inquinamento da plastica si è posta sin dall’inizio delle negoziazioni. Meglio concludere un trattato globale senza obblighi vincolanti (tipo Accordo di Parigi), oppure un trattato ambizioso con una massa critica di “stati volenterosi”, regole comuni e impegni vincolanti (cioè una convenzione specifica, come ad esempio la Convenzione di Minamata sul mercurio)? Come analizzato dal WWF “nel lungo periodo è solitamente più facile aumentare la partecipazione che modificare il testo di un trattato”.

Tramite il ricorso al consenso e al diritto di veto, nelle COP sul clima e nell’Accordo di Parigi gli interessi legati all’economia dei combustibili fossili hanno bloccato le azioni per contenere il riscaldamento terrestre. Questi interessi hanno prevalso ancora una volta nella COP29 che si è conclusa ieri, domenica 24 novembre, a Baku, in Azerbaijan. Il 99% della plastica è prodotto a partire da fonti fossili e gli stessi stati che hanno bloccato l’azione sul clima hanno lavorato sin dall’inizio per bloccare lo sviluppo di un trattato efficace contro l’inquinamento da plastica. Resta da vedere quali saranno durante INC-5 le mosse della “coalizione dei volenterosi”. 

Immagine: Mumtahina Tanni, Pexels

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Presentazione libro https://www.semidiscienza.it/2024/11/09/presentazione-libro/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=presentazione-libro https://www.semidiscienza.it/2024/11/09/presentazione-libro/#respond Sat, 09 Nov 2024 07:34:47 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2995 20 Novembre 2024

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Let’s Be Nice to the Ocean https://www.semidiscienza.it/2024/10/31/lets-be-nice-to-the-ocean/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=lets-be-nice-to-the-ocean Thu, 31 Oct 2024 08:45:15 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2986

Let’s Be Nice to the Ocean è un movimento composto da numerosi soggetti che sostengono il Principio di Protezione: rendere la protezione dell’oceano la norma piuttosto che l’eccezione.

Let’s Be Nice to the Ocean è stato lanciato dal Varda Group nel novembre 2023 con il supporto di sette organizzazioni partner con l’obiettivo di aumentare l’ambizione della Terza Conferenza delle Nazioni Unite sull’oceano attraverso approcci innovativi alla protezione dell’oceano.

Come Semi di Scienza abbiamo entusiasti di esserci uniti al movimento e non vediamo l’ora di lavorare insieme per portare avanti azioni volte a rendere la protezione dell’oceano la regola, non l’eccezione, con la Terza Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani a Nizza all’orizzonte.

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Evento CER https://www.semidiscienza.it/2024/10/05/evento-cer/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=evento-cer https://www.semidiscienza.it/2024/10/05/evento-cer/#respond Sat, 05 Oct 2024 08:11:01 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2964 Nei giorni 21 e 22 settembre abbiamo partecipato all’iniziativa “HORTI APERTI” presso i giardini del Collegio Borromeo di Pavia.

È stata l’occasione per parlare di Comunità Energetiche Rinnovabili e diffondere consapevolezza sui temi della transizione energetica, la più grande sfida di questi anni.

Questo evento rientra nel progetto “Cambiamo Energia”, sostenuto con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese.
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Uno sguardo ai PFAS https://www.semidiscienza.it/2024/09/28/uno-sguardo-ai-pfas/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=uno-sguardo-ai-pfas https://www.semidiscienza.it/2024/09/28/uno-sguardo-ai-pfas/#respond Sat, 28 Sep 2024 10:42:43 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2944 di Matteo Bo – socio di Semi di Scienza

I PFAS, acronimo di sostanze perfluoroalchiliche, è un gruppo di composti chimici di sintesi – ovvero creati dall’uomo – che sono utilizzati in moltissimi campi e che stanno vedendo un crescente interesse nel dibattito pubblico per via degli effetti sulla salute e sull’ambiente che generano o che possono generare.

In questo articolo, che non pretende di essere esaustivo, affronteremo alcuni dei punti “salienti” di un argomento che è molto complesso ma che merita di essere esposto anche sulle pagine del nostro Blog per descrivere almeno in prima battuta le principali caratteristiche di queste sostanze ad oggi ancora poco conosciute seppur dalla storia quasi centenaria.

Alla fine degli anni ’30, infatti, nel corso dei processi di industrializzazione del PTFE fu scoperto per errore – come spesso accade nelle scoperte scientifiche – un fluoropolimero, ovvero una catena di atomi di carbonio con fluoro, dalle caratteristiche idrorepellenti e tensioattive. Inizialmente utilizzato per rendere impermeabili i carri armati durante la Seconda guerra mondiale, a partire dagli anni ’50, l’azienda chimica DuPont ne sviluppò un prodotto commerciale noto come Teflon. Nel corso degli anni, a quello che è a tutti gli effetti il più famoso tra i PFAS, furono affiancati centinaia di composti riconducibili allo stesso gruppo ed utilizzati in varie applicazioni civili e industriali: lubrificanti, antiaderenti per pentole e padelle, schiume anti-incendio, guarnizioni, refrigeranti, pesticidi, prodotti di cosmesi e altro.

Immagine di una padella antiaderente

Questi fluoropolimeri sono accumunati dalla loro proprietà idrorepellenti, oleorepellenti e tensioattive. Per effetto delle loro lunghe catene di carbonio, sono inoltre caratterizzati da una fortissima persistenza che li rende duraturi nel tempo ma anche diffusi nello spazio e quindi all’interno dell’ambiente e della catena alimentare. La gran parte dei PFAS sono infatti resistenti all’idrolisi, alla biodegradazione, alla fotolisi e ad altri processi di ossidazione naturale. Possono essere degradati solo termicamente ma a temperature pari a 1200-1300 °C, valori che non sempre vengono nemmeno raggiunte all’interno degli inceneritori.

Per via dell’ampiezza dei composti ricadenti nel gruppo di PFAS, a cui si aggiungono continuamente nuovi prodotti di sintesi, ad oggi vi è ancora quindi la necessità di uno sviluppo più ampio della normativa e della tecnica necessarie a definirne sia l’impiego sia le modalità di campionamento, analisi e studio dei rischi per la salute. Quest’ultimi sono noti a livello globale da circa 50 anni, come racconta il film Dark Waters con Mark Ruffalo – uscito in Italia nel 2020 con il titolo “Cattive Acque” – che racconta la causa intentata negli anni ’70 contro la DuPont in Virginia (USA).

L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) nel 2023 ha classificato come cancerogeni per l’uomo i PFOA e i PFOS, tra i più noti e storici PFAS in circolazione. Su composti più recenti come C6O4 e ADV le ricerche sono ancora in corso e dovremo attendere ancora qualche tempo per meglio comprenderne le ricadute. Tra i bersagli identificati vi sono il fegato, in cui si verifica un processo di bioaccumulo, e i reni, che tendono a trattenerli anziché espellerli con l’urina. Sono stati poi riscontrati effetti fisiologici sul sistema immunitario e in particolare sulla regolazione ormonale.

Per quanto riguarda la diffusione di questi inquinanti in ambiente, in diversi casi nel mondo le concentrazioni più elevate sono state rilevate in prossimità di stabilimenti che li producono e, in seconda battuta, in stabilimenti che li lavorano per creare prodotti destinati alla commercializzazione. I PFAS si trovano infatti sia nel prodotto finito (e nella relativa degradazione) sia in prodotti intermedi. In analogia con altri inquinanti sono quindi in genere le popolazioni più prossime agli stabilimenti e i lavoratori che vi operano all’interno ad essere potenzialmente maggiormente esposti a PFAS. Sono inoltre stati rilevati presso siti dove vengono utilizzati grossi quantitativi di schiume antincendio come nel caso dell’aeroporto militare di Ronneby in Svezia.

In Italia, il caso più noto è quello della contaminazione della falda e dei corpi acquiferi superficiali a causa delle attività dell’azienda Miteni in Veneto a partire dagli anni ‘60. Un caso che ha portato nel 2018 alla dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri con il divieto al consumo di acqua potabile in 30 comuni tra le province di Vicenza, Verona e Padova per una popolazione di circa 350 mila persone interessate.

La loro persistenza ha tuttavia portato a rilevarli anche in corsi d’acqua, falde acquifere e nel sangue umano in aree non direttamente interessate dalla loro produzione o trasformazione. In questo senso, un interessante e ormai storico studio del CNR presentato nel 2011 ha definito i primi contorni sulla contaminazione nella matrice acque cui sono seguiti studi di approfondimento tutt’ora in corso in varie regioni del Bacino Padano sia sulla medesima matrice acqua sia sull’aerodispersione dei PFAS in aria ambiente.

Ad oggi risulta quindi necessario il monitoraggio e lo studio sugli effetti dei principali PFAS con un occhio a quelli di nuova generazione maggiormente diffusi e una sorveglianza dei siti di produzione e lavorazione principali. Per quanto di difficile riscontro nel mercato, ove possibile nella quotidianità potrebbe risultare un’azione efficace di auto-tutela la ricerca di prodotti “PFAS-free” o la scelta di alternative che intrinsecamente non comportino la necessità di prodotti che potrebbero contenerli.

Bibliografia:

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Profili Antropici https://www.semidiscienza.it/2024/07/31/profili-antropici/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=profili-antropici https://www.semidiscienza.it/2024/07/31/profili-antropici/#respond Wed, 31 Jul 2024 08:47:34 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2869 Il testo in italiano.

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Beach litter: confronto tra i rifiuti più abbondanti sulle spiagge europee e tre spiagge della Toscana https://www.semidiscienza.it/2024/07/16/beach-litter-confronto-tra-i-rifiuti-piu-abbondanti-sulle-spiagge-europee-e-tre-spiagge-della-toscana/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=beach-litter-confronto-tra-i-rifiuti-piu-abbondanti-sulle-spiagge-europee-e-tre-spiagge-della-toscana https://www.semidiscienza.it/2024/07/16/beach-litter-confronto-tra-i-rifiuti-piu-abbondanti-sulle-spiagge-europee-e-tre-spiagge-della-toscana/#respond Tue, 16 Jul 2024 16:28:24 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2865 È uscito il 3 luglio l’ultimo Marine Litter Watch – Europe’s Beach Litter Assessment dell’Agenzia europea dell’ambiente e dell’European Topic Centre Biodiversity and ecosystems. Il confronto con i risultati del nostro progetto di Citizen Science “Profili Antropici – La plastica come misura del nostro tempo” durante il quale sono stati monitorati i rifiuti spiaggiati su tre spiagge della Toscana mostra molte somiglianze.

Il problema

L’inquinamento da plastica e altri inquinanti chimici è al di fuori dello spazio operativo sicuro dei confini planetari per l’umanità. I rifiuti, in particolare la plastica, si accumulano nei sistemi acquatici, soprattutto sulle coste. Ogni anno, 11 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, costituendo l’80% dei rifiuti marini.

La Strategia europea sulla plastica (COM/2018/028final) ha fissato un obiettivo di riduzione del 30% per i rifiuti marini e la Direttiva sulle plastiche monouso (SUPD, 2019/904/UE) ha stabilito l’obiettivo per gli Stati membri dell’UE di ridurre l’impatto di alcuni prodotti di plastica monouso (Single use plastics, SUP) nell’ambiente, riducendone o vietandone l’uso. La Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino (MSFD, 2008/56/CE) ha come obiettivo il raggiungimento di un buono stato ambientale (Good Environmental Status, GES) delle acque marine dell’UE. Al tal fine, e relativamente ai rifiuti spiaggiati (beach litter), la Strategia per l’ambiente marino ha fissato un valore soglia di 20 rifiuti/100 m di spiaggia, stimando che questo valore sia in grado di ridurre i danni dei rifiuti spiaggiati a un livello sufficientemente cautelativo.

I rifiuti spiaggiati più abbondanti a livello europeo

L’iniziativa Marine Litter Watch (MLW) dell’Agenzia europea dell’ambiente coinvolge i cittadini nella raccolta dei rifiuti e dei dati sulle spiagge europee. Questo rapporto, basandosi su risultati precedenti, analizza i dati del 2022 nel contesto degli sforzi dell’UE per affrontare l’inquinamento da plastica.

Il database MLW fornisce informazioni essenziali sullo stato di inquinamento da rifiuti delle spiagge in Europa. Integra i programmi di monitoraggio della Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino e supporta la valutazione delle politiche dell’UE, come il Piano d’azione per l’inquinamento zero e la Direttiva sulle plastiche monouso (SUP). Sono inclusi i contributi di oltre 60 comunità e organizzazioni, che hanno registrato quasi 1,5 milioni di rifiuti dalle spiagge europee nell’ultimo decennio.

L’analisi presentata nell’ultimo rapporto Marine Litter Watch – Europe’s Beach Litter Assessment rivela che a livello europeo l’86% degli oggetti registrati sono di plastica e che i prodotti in plastica monouso (SUP) rappresentano il 52% del totale dei rifiuti. I mozziconi di sigaretta sono un problema significativo, rappresentando il 23% dei rifiuti. Gli oggetti legati alla pesca sono meno diffusi, ma notevoli nell’Atlantico nord-orientale. Il Mar Nero è il più inquinato, seguito dal Mediterraneo e dal Mar Baltico. Circa il 90% dei siti esaminati supera la soglia fissata dalla Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino per il buono stato ambientale GES per i rifiuti spiaggiati.

I rifiuti spiaggiati più abbondanti su tre spiagge della Toscana

Nell’ambito del progetto “Profili Antropici” tra Novembre 2022 e Luglio 2023 abbiamo raccolto e classificato 11’237 rifiuti su tre spiagge della Toscana nei comuni di Marina di Vecchiano, Livorno e Rosignano Marittimo. In ciascuna spiaggia abbiamo individuato un sito di campionamento e abbiamo svolto tre monitoraggi in ciascun sito seguendo il protocollo della Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino.

L’analisi rivela che l’88,39% dei rifiuti da noi trovati sono di plastica, mentre i prodotti in plastica monouso rappresentano (articoli SUP) corrispondono al 36,96% del totale dei rifiuti. I più abbondanti nel nostro studio sono: mozziconi di sigaretta (22,69%), bottiglie di plastica per bevande (4,38%, tutte le dimensioni insieme), tappi/coperchi di plastica per bevande (2,89%), bastoncini di plastica per cotton fioc (2,79%), pacchetti di patatine/incarti di dolciumi (1,61%).

Nel nostro studio abbiamo rilevato un’abbondanza mediana di rifiuti di 1’266 oggetti/100 m di spiaggia. In tutti i siti e durante tutti i monitoraggi è stata superata la soglia della Strategia Marina per il buono stato ambientale GES.

Le soluzioni

Le evidenze scientifiche dimostrano che gli interventi a monte e a valle, come l’ottimizzazione della gestione dei rifiuti, le tecnologie di rimozione e il miglioramento della circolarità, non sono sufficienti a contenere l’inquinamento da plastica nel breve, medio o lungo periodo. Per affrontare l’inquinamento da plastica è urgente mettere in atto interventi a monte per ridurre la produzione di plastica primaria.

Parallelamente alle azioni a livello internazionale e nazionale, i comuni possono limitare in modo significativo l’inquinamento da plastica monouso sul proprio territorio attraverso lo sviluppo di strategie integrate che includano gli appalti pubblici, l’esemplarità e l’animazione territoriale.

Nell’ambito del progetto Profili Antropici oltre al monitoraggio dei rifiuti spiaggiati abbiamo identificato le misure ambientali messe in atto dai tre comuni della costa Toscana per affrontare gli articoli in plastica monouso (SUP) e abbiamo evidenziato ulteriori possibili misure ambientali per ridurre l’inquinamento da plastica a livello locale.

Abbiamo presentato i risultati del nostro studio al Decimo Simposio Internazionale “Il Monitoraggio Costiero Mediterraneo: problematiche e tecniche di misura” svoltosi a Livorno dall’11 al 13 giugno 2024 al Museo di Storia Naturale del Mediterraneo e organizzato dall’Istituto di BioEconomia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IBE) in collaborazione con la Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale.

Lo studio integrale Ballerini T., Galletti Y., Tacconi D. (2024) “Plastic pollution on the Tuscan coast: environmental measures municipalities can put in place to reduce itsarà pubblicato nei prossimi mesi negli atti del congresso.

Il progetto Profili Antropici è stato condotto da Semi di Scienza in collaborazione con Sons of the Ocean ed è stato finanziato dall’8 per mille della Chiesa Valdese. Durante tutto il progetto c’è stata una attiva e positiva collaborazione con gli assessori all’ambiente dei comuni di Marina di Vecchiano, Livorno, Rosignano Marittimo.

Approfondisci il progetto e leggi l’intervista a Tosca Ballerini sulle possibili soluzioni all’inquinamento da plastica monouso, oppure scarica il poster con i risultati del progetto o leggi la traduzione italiana dell’articolo scientifico che abbiamo scritto.

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Sperimentazione Animale, a che punto siamo https://www.semidiscienza.it/2024/07/08/sperimentazione-animale-a-che-punto-siamo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=sperimentazione-animale-a-che-punto-siamo https://www.semidiscienza.it/2024/07/08/sperimentazione-animale-a-che-punto-siamo/#respond Mon, 08 Jul 2024 13:58:35 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2861 di Laura Calvillo

La sperimentazione animale è senz’altro un tema caldo, sia per l’impatto che ha sull’emotività dell’opinione pubblica che per il ruolo indiscusso nella ricerca di base.

L’Europa è forse il continente dove i diritti degli animali sono più tutelati, prova ne sia la direttiva 23/2010 che detta le linee guida da adottare dai singoli paesi, direttiva che è stata via via recepita dai paesi membri. L’Italia ha implementato le linee guida nel 2014 con la legge 26/2014, che nonostante le numerose problematiche non ancora risolte, ha dato una spinta molto forte all’innalzamento dello standard di qualità degli allevamenti e delle procedure. Il punto chiave è giustamente la valutazione del possibile livello di sofferenza esperibile dall’animale, sofferenza che per legge deve essere ridotta al massimo, fino ad un ideale livello zero. La legge quindi ruota tutta intorno a due punti fondamentali: rimpiazzare l’animale ove possible e ridurre al massimo le sofferenze e il numero di animali impiegati, mantenendo la significatività statistica grazie a calcoli precisi (3R: Rimpiazzare, Rifinire, Ridurre). L’iter autorizzativo è molto severo e abbastanza burocratizzato complicando molto la ricerca, fino quasi a scoraggiarla, e questa, va detto, è una delle problematiche che da anni i ricercatori devono gestire. Ma tralasciando gli inevitabili problemi politico-burocratici, un fatto è ormai provato: anche i mammiferi meno sviluppati come i piccoli roditori hanno capacità empatiche importanti e provano sofferenza anche psicologica. Studi di alto livello [1–3] hanno infatti dimostrato come il dolore fisico alteri l’espressione genica, inibisca il funzionamento del nervo vago, stimoli l’attivazione immunitaria e causi, tra le altre alterazioni, un incremento della neuroinfiammazione. Lo stress ha effetti analoghi in maniera dose-dipendente [4,5] e impatta anche sulla termoregolazione e sul funzionamento del tessuto adiposo bruno e dell’ipotalamo [6,7]. Oggi le ricerche analizzano fenomeni e meccanismi cellulari sempre più fini è sofisticati, è ovvio che a fianco dell’importante problema etico ci sia anche il rischio di veder compromessi i risultati delle ricerche qualora dolore e stress non vengano gestiti e impediti. Ma a che punto siamo nella gestione della sofferenza e nell’utilizzo di metodi che possano sostituire l’animale da laboratorio? Da più di vent’anni gruppi di ricerca in vari paesi si dedicano esclusivamente a questi problemi e oggi abbiamo strumenti importanti per quantificare la sofferenza e per ridurla. Esistono metodi di osservazione e valutazione del comportamento che permettono ai ricercatori di quantificare il benessere [8–12] e di trovare le giuste strategie per garantire la serenità degli animali [13–15]. Allo stesso tempo tecnologie di imaging permettono multiple osservazioni su un singolo animale senza procedure invasive, quindi senza causare sofferenza [16,17].

La ricerca stessa sta quindi trovando soluzioni importanti al problema della riduzione del numero di animali e delle loro eventuali sofferenze.

Ma c’è un altro campo di studi estremamente affascinante che sta sviluppando dispositivi artificiali i quali, almeno in parte, riproducono la complessità degli organismi viventi: stiamo parlando della bioingegneria e delle colture cellulari di prossima generazione. Organoidi, colture sotto flusso e organi su chip stanno rivoluzionando la ricerca medica di base: la spinta etica a trovare alternative all’uso dell’animale ha prodotto straordinari strumenti che colmano vuoti importanti nelle metodiche di laboratorio.

Siamo ancora lontani dal poter rimpiazzare l’animale, e ci vorranno forse decenni, ma di sicuro la tecnologia sta già permettendo osservazioni e scoperte che non erano pensabili usando gli animali o le classiche colture cellulari. Ad oggi un laboratorio di medie dimensioni può permettersi l’utilizzo di bioreattori, camere di coltura dove le cellule possono crescere in tre dimensioni, riproducendo in maniera semplificata gli organi di appartenenza, e sotto lo stimolo del flusso del medium di coltura, che mima la circolazione sanguigna. Tutte condizioni impossibili nelle classiche colture cellulari [18,19]. Oppure si possono coltivare cellule dell’epitelio polmonare su un microchip riproducendo le funzioni polmonari per studiare ad esempio l’edema; questo dispositivo può analizzare gli scambi aria-fluidi in tempo reale e può essere connesso ad un computer [20,21] (https://wyss.harvard.edu/media-post/lung-on-a-chip/).

Grande interesse ha poi suscitato la creazione di un organoide cerebrale che, nonostante la ridotta capacità vitale, ha aperto nuovi orizzonti nella ricerca neurologica [22,23]. E ancora, la creazione delle iPS, che sono valse il Nobel al ricercatore che le ha prodotte, permettono di creare una cellula differenziata di qualsiasi organo partendo da semplice cellule di fibroblasti che vengono “trasformati” nella cellula di interesse. Ad oggi questa tecnologia permette di prelevare fibroblasti da pazienti con patologie genetiche, ad esempio la SLA, differenziarli nelle cellule appartenenti all’organo malato e studiare direttamente sul corredo genetico alterato del paziente i meccanismi d’azione o eventuali terapie [24].

Come possiamo vedere, la scienza aiuta la scienza. I problemi anche etici che nascono dalla ricerca scientifica trovano la loro soluzione nel metodo scientifico. Non nelle ideologie, non nella persecuzione di categorie professionali attraverso la gogna mediatica o la disinformazione.

Mai come in questo periodo storico il cittadino è chiamato ad essere consapevole e responsabile delle fonti da cui trae le informazioni, informazioni che lo guideranno in una scelta politica, che sia una raccolta firme o un’altra forma di attivismo civico. Forzature ideologiche hanno drammaticamente portato a scelte politiche sbagliate, a procedure di infrazione che il nostro paese si è trovato a fronteggiare e, ancor peggio, alla paralisi della ricerca di base che, già sotto finanziata, soffre dell’endemico disinteresse da parte delle istituzioni.

In ultima analisi saranno i cittadini le prime vittime della progressive riduzione della ricerca, perché da sempre il livello delle cure mediche e le ricadute tecnologiche nel mondo del lavoro dipendono dalla mole di ricerche che vengono prodotte in un paese. E storicamente i paesi che sono diventati leader mondiali sono sempre stati quelli che hanno investito nella ricerca e nella cultura.

Bibliografia

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