Gli autori:
Marco Capocasa, antropologo e biologo nutrizionista, vice-segretario dell’Istituto Italiano di Antropologia, si occupa dello studio delle relazioni fra diversità genetica e culturale delle popolazioni umane. Già autore di Italiani. Come il DNA ci aiuta a capire chi siamo (Carocci, 2016) e Intervista impossibile al DNA. Storie di scienza e umanità (il Mulino, 2018).
Davide Venier, nutrizionista impegnato a favore di una corretta divulgazione scientifica, mirata alla promozione di un atteggiamento consapevole e responsabile riguardo ai temi dell’alimentazione e della nutrizione umana.
Un agile vademecum per contrastare tutte quelle credenze, mode dell’ultima ora e fake news scientificamente infondate che, acquistando sempre più credito, rischiano di promuovere uno stile di vita dannoso.
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Le nuove tecniche genomiche (NGT) sono tutte quelle tecniche che comportano una modifica mirata alla sequenza del DNA, ad esempio le piccole mutazioni puntiformi delle singole basi azotate che compongono il DNA. La commissione europea ha recentemente deciso di rinnovare la normativa in quanto, ad esempio, le piante ottenute tramite NGT sono ancora considerate OGM e soggette quindi ad una legislazione che contempla metodi biotecnologici vecchi di venti anni.
Sentiamo le parole di Elena Del Pup, ricercatrice in biotecnologie agrarie, selezionata per la Clinton Global Initiative University 2022, programma di un anno promosso dalla Fondazione Clinton e dedicato alle giovani ricercatrici e ai giovani ricercatori per promuovere una società più equa e sostenibile. L’intervista è stata realizzata da Camilla De Luca.
Con la primavera arrivano le fioriture e la natura si appresta a ripartire dal torpore invernale. L’emergenza climatica, anno dopo anno, minaccia la regolarità dei cicli di vita degli ecosistemi locali, ma, dopo molte settimane di siccità, qualche segnale di speranza sembra arrivare in questi giorni anche nel Nord Italia.
E la speranza riparte da uno degli appuntamenti fissi di stagione. È partita infatti la caccia ai germogli del luppolo detti anche impropriamente asparago selvatico o, nel dialetto piemontese, luvertin: una pianta davvero molto interessante con innumerevoli usi in cucina e non solo, per tutte le stagioni.
Da non confondere con altri rampicanti, questi sinuosi e snelli “asparagi” appartengono a quella tradizione ancora popolare di erbe spontanee (come l’ortica o il tarassaco) la cui raccolta primaverile in campagna e nei terreni incolti porta alla realizzazione di ottime pietanze quali frittate, risotti, insalate e minestre.
E allora perché non cimentarsi nella più classica delle ricette ovvero proprio la frittata di luvertin tipica delle valli piemontesi? Dal sito https://invalpellice.com/frittata-di-luvertin/, da cui “rubiamo” anche l’immagine di copertina, anche gli aspiranti chef meno esperti potranno trovare gli utili riferimenti per questa semplice ricetta che in pochi minuti porterà in tavola un gustoso antipasto in 3 semplici mosse:
Ma il luppolo è molto altro… come uno degli ingredienti più noti della birra! Se i germogli sono infatti i protagonisti dell’inizio della primavera, i fiori lo sono dei mesi successivi. Il loro ruolo è quello di conservare e fornire il tipico aroma amaro nella produzione della nota bevanda. Il sottoprodotto protagonista è noto con il nome di luppolino, ovvero la polvere resinosa di color giallo intenso derivata dall’essiccazione delle infiorescenze femminili. Il luppolo poi è base anche di liquori e infusi dalle proprietà calmanti (con target sul sonno e sul benessere dell’apparato digerente).
Andando verso l’estate, i frutti sono noti altresì come agente di lievitazione nell’ambito della panificazione. Gli usi poi si estendono per le piante mature, grazie a fusti di estensione fino a 5 m di altezza e un imponente apparato radicale, a quelli non alimentari quali l’intreccio dei canestri o la tintura marrone (previa bollitura). Da citarsi infine l’uso ornamentale, in particolare della varietà del luppolo dorato (in botanica Humulus lupulus Aureus) tenendo sempre in considerazione che si tratta di una pianta rampicante spontanea e molto rigogliosa.
E dunque perché non sognare ulteriori utilizzi grazie a quel filone produttivo di riscoperta delle tradizioni ed evoluzione delle tecnologie e tecniche, che è sempre più correlato con gli ecosistemi locali come ampiamente riconosciuto per gli usi di un’altra pianta molto versatile qual è la canapa?
Per approfondire:
– “Erbe e piante selvatiche in cucina” (2014) di G. Peroni, C. Bonalberti, A. Peroni, P. Macchione
– “Guida pratica alle piante officinali. Osservare, riconoscere e utilizzare le più diffuse piante medicinali italiane ed europee” (2011) di G. Bulgarelli, S. Flamigni
]]>Il corto circuito nelle catene di approvvigionamento, dovuto alle restrizioni nei movimenti dei lavoratori e dei distributori, ha colpito le città e in maniera particolare la popolazione più vulnerabile al loro interno, come gli anziani e le famiglie che vivono in condizioni di povertà.
Il problema si è verificato in modo più evidente nei paesi in via di sviluppo, ma si è manifestato anche in città di paesi sviluppati come il nostro, per esempio nel comune di Milano.
La questione è anche più complessa di come può già apparire. Le dinamiche del cambiamento climatico, infatti, aggraveranno i possibili problemi di distribuzione emersi da shock come la pandemia, aggiungendo delle difficoltà nei sistemi di produzione. Molto probabilmente l’aumento della temperatura terrestre avrà un effetto sui rendimenti delle colture sia in termini quantitativi, sia qualitativi (ciò determinerà per esempio la perdita del contenuto nutrizionale di alcuni alimenti). Tale impatto andrà a toccare soprattutto le aree più fragili come l’Africa sub-Sahariana e meridionale, l’America centrale e meridionale e il Sud-Est asiatico, ma di fatto toccherà anche i paesi sviluppati se le temperature supereranno una certa soglia.
Tenendo ciò a mente e considerando che:
sarebbe necessario ripensare i sistemi alimentari attuali, per esempio rafforzando i legami fra aree rurali e urbane, creando sistemi equi e inclusivi di produzione-distribuzione-consumo del cibo nelle città e sfruttando le soluzioni offerte dall’innovazione tecnologica e dall’agricoltura urbana.
Sono alcuni degli obiettivi che si è posta la Food and Agriculture Organization (FAO) delle Nazioni Unite, i quali sono stati accolti da alcune città, fra le quali il comune di Milano, che si sono impegnate a “sviluppare sistemi alimentari sostenibili che siano inclusivi, resilienti, sicuri e diversi, che forniscano cibo sano e accessibile a tutte le persone in un quadro basato sui diritti umani, che minimizzino i rifiuti e conservino la biodiversità adattandosi e mitigando gli impatti del cambiamento climatico”.
Per approfondire sul tema:
Autrice: Camilla De Luca – Socia Semi di Scienza & Progetto Cambiamo
]]>Mettiamo insieme i vari tasselli e il quadro appare chiaro: soddisfare i bisogni sempre più sofisticati di una popolazione in crescita, tenendo in considerazione il rispetto dei limiti planetari, è un problema che dovremo affrontare il prima possibile.
Ma non finisce qui. Oltre al rischio di scarsità, i tre settori sono strettamente collegati l’un l’altro. Basta dire che l’elettricità conta per un 5-30% (stima) dei costi operativi di estrazione, trattamento e distribuzione dell’acqua. I prelievi di acqua dolce per la produzione di energia contano per circa il 15% del consumo mondiale di acqua, percentuale che è attesa aumentare al 20% entro il 2035. Il 70% del consumo globale di acqua è legato al settore agricolo e il 30% del consumo globale di energia è legato alla produzione di cibo.
Quindi, è chiaro che le scelte di produzione e l’efficienza di ogni settore hanno un impatto immediato sugli altri. È dalla comprensione di questi collegamenti che si è cominciato a parlare di “Water-Food-Energy Nexus“. Si tratta di un approccio alla gestione di tali risorse, che si basa sull’interdipendenza dei relativi settori e sulla necessità di garantire un accesso alle stesse che sia sostenibile ed equo, ovvero che rispetti i diritti fondamentali al cibo e all’acqua, tutelati dalla Dichiarazione Universale dei diritti Umani, in maniera coerente con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 (obiettivi 2, 6, 7).
Un approccio che dovrebbe essere tenuto in considerazione soprattutto in questo momento di cambiamento socio-economico e che dovrebbe essere tenuto in considerazione a livello europeo e a livello nazionale nei Recovery Plan attualmente in elaborazione.
Link e riferimenti per dati esposti:
https://www.water-energy-food.org/mission
Autrice: Camilla De Luca – Semi di Scienza e Cambiamo
]]>Impronta di carbonio (emissioni di gas serra)
Impronta idrica
Fonti: 1) Mekonnen and Hoekstra (2010, 2012) – Water Footprint Network
2) Ewing B. et al. – The Ecological Footprint Atlas 2010
3) GFN Global Footprint Network 4) Barilla Center for Food and Nutrition, 2001
Sin dall’antichità, l’Uomo ha sempre praticato la modificazione genica, al fine di produrre dei nuovi esseri viventi che fossero dotati di caratteristiche utili, da cui trarre vantaggio materiale e/o economico. Questa pratica però non è sempre stata svolta in maniera consapevole. Infatti, i nostri antenati selezionavano le piante coltivate che manifestavano le caratteristiche migliori in termini di morfologia e sviluppo, ma ignorando completamente che tali proprietà erano “scritte” all’interno delle cellule delle piante stesse. È soltanto nella prima metà del Novecento che l’Uomo ha preso consapevolezza che le pratiche di selezione avevano un effetto a livello genetico. Questa consapevolezza ha favorito l’emergere di un nuovo approccio attraverso il quale creare organismi “migliorati” sfruttando le moderne tecniche di ingegneria genetica. La prima tecnica fu scoperta dal microbiologo svizzero Wener Arber, che è considerato il pioniere degli OGM. Egli scoprì i cosiddetti “enzimi di restrizione” che sono enzimi di origine batterica capaci di tagliare sezioni di DNA. Questa scoperta ha creato la possibilità di rimuovere pezzi di materiale genetico da un essere vivente e trasferirli ad un altro, anche appartenente ad una specie diversa o, addirittura, ad un regno diverso. Fu nel 1973 che gli scienziati statunitensi Stanley Cohen e Herbert Boyer crearono il primo OGM, inserendo un gene di una rana all’interno di Escherichia coli; un comune batterio che vive nell’intestino degli animali a sangue caldo.
Ma com’è possibile, nella pratica, produrre un OGM? Spesso sentiamo parlare di questi fantomatici organismi tramite i media, ma in effetti non esiste molta informazione a riguardo. Fatta questa premessa, la produzione di un OGM prevede le seguenti fasi:
Ma per quale motivo gli OGM fanno tanto parlare di sè? Perchè la creazione di questi nuovi organismi ha scatenato ondate di polemiche? Come spesso accade nella storia, la comparsa di una nuova tecnologia avviene per rispondere a reali esigenze della società, che vengono quasi sempre soddisfatte in seguito alla realizzazione della tecnologia stessa, ma producendo effetti imprevedibili. Gli OGM non fanno eccezione a questa dinamica, per cui hanno portato sia a benefici che problematiche:
BENEFICI DEGLI OGM: L’introduzione degli organismi geneticamente modificati ha trovato applicazione principalmente nel settore agricolo. Basti pensare al “Mais Bt” e alla “soia Roundup Ready” (detta anche “soia RR”). Il primo ha la capacità di resistere alle larve della piralide; una farfalla responsabile di gravi perdite di resa. La seconda ha la capacità di resistere al glifosato durante i trattamenti erbicidi di copertura (che vengono fatti quando la coltura è in campo), permettendo un migliore controllo delle piante infestanti. Secondo il Food and Drug Law Journal; una importante rivista statunitense; il mais OGM aiuterebbe a prevenire i quantitativi di alcune micotossine; che sono sostanze cancerogene per gli esseri umani. L’accademia dei Georgofili Italiana ha riportato che le coltivazioni di mais ingegnerizzato abbiano portato ad una netta diminuzione delle popolazioni di piralide nella Corn Belt Americana. Questo ha avuto ripercussioni positive anche sul mais convenzionale, che ha subìto minori attacchi dell’insetto.
PROBLEMI DEGLI OGM: Una delle polemiche più rilevanti è il rapporto tra OGM e sicurezza alimentare. Sebbene non esistono prove scientifiche di danni alla salute umana, i meccanismi di interazione tra gli alimenti OGM e la nostra fisiologia risultano ancora sconosciuti. Alcune organizzazioni come Greenpeace ritengono che il livello di investigazione per determinare i rischi degli OGM per la salute umana non sia sufficiente. L’EFSA (l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ha dichiarato che i cibi transgenici possono potenzialmente portare a reazioni allergiche, in quanto contengono proteine modificate.
Un’altro argomento molto discusso riguarda il rapporto con l’ambiente. Infatti, non è ancora chiaro come le piante ingegnerizzate interagiscono con l’ecosistema circostante. Per esempio, è chiaro come il mais Bt interagisce con la piralide, ma come reagisce con gli altri insetti? Coi batteri del suolo? E con le altre piante? Immaginiamo che una pianta di mais Bt, o di soia Roundup Ready, si incroci accidentalmente con un’altra simile, e la pianta figlia riesca a sopravvivere e produrre migliaia di semi… al quel punto avremmo una miriade di piante OGM sconosciute nel nostro ambiente.
Ma quindi gli OGM sono un bene o un male? Per rispondere a questa ipotetica domanda concludiamo con una citazione: “Il problema non è la tecnologia ma l’uso che se ne fa, ogni cosa comporta dei rischi, l’importante è esserne consapevoli e valutare se il prezzo che paghiamo è adeguato a quanto riceviamo in cambio”. Stefano Nasetti
Autore: Simone Rossi, PhD., Agronomo.
]]>A causa dell’impatto negativo dello spreco alimentare nel mondo, numerose ricerche sono state condotte per capire quali sono le principali cause risalenti a questo fenomeno. Secondo i dati della FAO, gli sprechi nelle fasi della filiera ammontano alle seguenti percentuali: coltivazione e raccolto=54%, trasformazione industriale=11%, distribuzione e vendita=13%, consumo domestico=22%. Analizziamo le fasi una per una:
1) Coltivazione e raccolto. Durante questa prima fase le piante in campo sono continuamente esposte a molti fattori che possono danneggiarle o addirittura eliminarle (siccità, piogge eccessive, grandine, insetti dannosi, funghi e virus). A tutto questo si aggiunge l’intervento dell’agricoltore, che può commettere errori nelle sue scelte gestionali (semina nel periodo sbagliato, concimazioni carenti, irrigazioni inadeguate, trattamenti antiparassitari eseguiti scorrettamente, etc.). Tutti questi fattori contribuiscono ad uno spreco alimentare di primo livello.
2) Trasformazione industrial. Durante questa fase i prodotti raccolti sono trasportati dal campo alle fabbriche per essere processati e trasformati. Può accadere che, a causa di inefficienze nei processi di lavorazione e malfunzionamenti tecnici, gli alimenti subiscano variazioni che diminuiscono o annullano la loro qualità commerciale, causandone lo scarto. Variazioni nella forma, nel peso e nel confezionamento, sebbene non influenzino la sicurezza igienico-sanitaria, bastano comunque a rendere un prodotto alimentare non conforme agli standard qualitativi richiesti dal mercato.
3) Distribuzione e vendita. L’aumento dell’urbanizzazione dell’ultimo secolo ha portato all’allungamento della filiera alimentare, causando inevitabilmente anche l’allungamento dei tempi di trasporto e distribuzione. Questo comporta una maggiore probabilità di deperimento organico o diminuzione di qualità degli alimenti, rendendoli più suscettibili allo scarto. C’è inoltre da considerare la comparsa massiccia della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) il cui comportamento contribuisce non poco. Infatti la GDO spesso stipula contratti molto rigidi con i propri fornitori, richiedendo standard qualitativi troppo elevati, che molti prodotti non rispettano. La gestione degli scaffali non è da meno dato che, per motivi di immagine, vengono tenuti sempre pieni, e molta della merce raggiunge la data di scadenza prima di venire acquistata.
4) Consumo domestico. In questa fase la responsabilità è esclusivamente del consumatore con i suoi comportamenti. Per diversi motivi le persone tendono a comprare cibo vicino alla data di scadenza (spesso più economico) ma che poi non viene effettivamente consumato. C’è poi la tendenza a riempire eccessivamente le portate nei piatti durante i pasti, il mancato rispetto delle indicazioni sulle modalità di conservazione e l’errata gestione della spesa settimanale.
Fortunatamente diverse ricerche indicano che gli sprechi alimentari stanno diminuendo negli ultimi anni. Tale tendenza è dovuta in parte alla maggiore consapevolezza al problema ed in parte all’avvento della crisi economica, che ha modificato i nostri stili di vita. Questo dato, seppur incoraggiante, non basta certo a risolvere il tutto. Infatti entro il 2050 la popolazione mondiale arriverà a circa 10 miliardi di persone (Dati ONU). Ciò significa che non possiamo permetterci di buttare via il cibo prodotto con le sempre più scarse risorse del pianeta. Alla luce di questo, cosa può fare ognuno di noi, nel suo piccolo, per ridurre gli sprechi alimentari? La risposta sta nei nostri comportamenti e nelle nostre abitudini. Elenchiamo alcune possibili soluzioni.
Ricapitolando, la buona notizia è che le soluzioni ci sono, sebbene non immediate e di semplice attuazione, ma d’altra parte un famoso Premio Nobel disse una volta:
“Per ogni problema complesso, c’è sempre una soluzione semplice, ed è quella sbagliata” George Bernard Shaw
Simone Rossi, PhD., Agronomo.
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