Ecologia – Semi di Scienza https://www.semidiscienza.it Wed, 01 May 2024 17:17:46 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8.10 https://www.semidiscienza.it/wp-content/uploads/2019/01/cropped-Semi-di-scienza-1-32x32.png Ecologia – Semi di Scienza https://www.semidiscienza.it 32 32 Profili Antropici – confronto con i Comuni https://www.semidiscienza.it/2024/05/01/profili-antropici-confronto-con-i-comuni/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=profili-antropici-confronto-con-i-comuni https://www.semidiscienza.it/2024/05/01/profili-antropici-confronto-con-i-comuni/#respond Wed, 01 May 2024 17:17:46 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2782 Recentemente si è concluso il progetto di Citizen Science “Profili Antropici– La plastica come misura del nostro tempo”, finanziato dall’8 per Mille Chiesa Valdese, di cui Semi di Scienza è capofila e Sons of The Ocean di Livorno partner. Abbiamo quantificato i rifiuti abbandonati su tre spiagge caratterizzate da diverse condizioni ambientali. I risultati preliminari sono stati condivisi con le tre amministrazioni comunali direttamente coinvolte nel progetto (Livorno, Vecchiano e Rosignano Marittimo).

Sabato 4 maggio 2024 continueremo a parlarne insieme all’esperto Paolo Azzurro (ANCI Emilia Romagna) per individuare alcune misure di regolamentazione che possono essere adottate dagli amministratori locali, al fine di prevenire la dispersione della plastica.

L’incontro si terrà presso la sala della biblioteca dei Bottini dell’Olio a Livorno, il giorno 4 maggio dalle ore 10:00 alle ore 11:15. Sarà aperto a tutta la cittadinanza, non solo agli addetti ai lavori.

Sarà un momento di condivisione e racconto di un’esperienza di Citizen Science e di possibili azioni politiche concrete in un clima partecipativo e collaborativo.

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Pianosa, l’isola della ricerca https://www.semidiscienza.it/2023/07/27/pianosa-lisola-della-ricerca/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=pianosa-lisola-della-ricerca https://www.semidiscienza.it/2023/07/27/pianosa-lisola-della-ricerca/#respond Thu, 27 Jul 2023 08:32:43 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2471

Il 22 giugno scorso è stata inaugurata la nuova base di ricerca di Pianosa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (BRP-CNR). Dopo un lungo iter, il progetto Brp-Cnr prende concretamente vita nel 2019 quando la gestione della struttura è affidata all’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR di Pisa, in collaborazione con l’Istituto di Bio-economia e con l’Istituto di Scienze Marine (CNR-ISMAR).

Con i suoi 15-25 posti letto distribuiti in 11 camere, il locale cucina, i locali ufficio ed i locali laboratorio e di divulgazione scientifica, la BRP-CNR costituisce una infrastruttura strategica in grado di ospitare gruppi di lavoro, supportare progetti di ricerca e/o di formazione e favorire un confronto e un dibattito tra le varie comunità locali, nazionali ed internazionali su tematiche di scienza di base, ma anche di scienza applicata con ricadute sul territorio. Una infrastruttura che si inserisce in un laboratorio naturale quale è l’Isola di Pianosa, con le sue peculiari caratteristiche climatiche, idrologiche, morfologiche, geologiche e biologiche che offrono numerose possibilità per ricerche scientifiche monotematiche e/o integrate, sui macroambienti terra e mare.

L’inaugurazione della base avviene in realtà in corso d’opera, poiché al suo interno sta già ospitando e supportando diverse attività e progetti di ricerca di ordine nazionale ed internazionale, come ad esempio quelli rivolti alle relazioni tra clima, ciclo idrologico/risorse idriche. Attualmente sono infatti in corso i progetti “Hydro-Island” e “PianosaAquifer”. ll progetto “PianosAquifer” prevede il monitoraggio dei quantitativi e delle caratteristiche chimico-fisiche ed isotopiche delle varie componenti del ciclo idrologico sull’isola di Pianosa, con particolare riferimento a quelle che condizionano le acque sotterranee del peculiare sistema acquifero. Scopo generale del progetto è quello di verificare gli effetti dei trend climatici sulla risorsa idrica sotterranea in un ambiente insulare con condizioni di stress idrico ben rappresentative del quadro idro-climatico della regione mediterranea. Obiettivi più specifici riguardano la definizione quantitativa di processi e meccanismi che regolano l’effettiva disponibilità idrica per gli ecosistemi e l’abitabilità dell’isola, includendo le problematiche legate all’intrusione marina e alla presenza di sostanze indesiderate, quali nutrenti legati alle attività agricole dell’ex-colonia penale e alcuni elementi in traccia presenti nelle parti più profonde del sistema acquifero.

Il progetto “Hydro-Island” è invece svolto nell’ambito di un programma Unesco ed è focalizzato sugli impatti dei cambiamenti climatici sulle risorse idriche delle piccole isole e sui loro ecosistemi, prendendo Pianosa come area pilota grazie anche alla disponibilità di dati prodotti dalle reti di monitoraggio idrologico-idrogeologico da tempo allestite e supportate dalla base stessa, con la partecipazione di altri partner del progetto. Hydro-Island adotta un approccio multidisciplinare, geologico, idrologico, idrogeologico, geochimico-isotopico, geofisico e di “remote sensing-smart technology” per meglio conoscere e quantificare i processi condizionanti la disponibilità idrica, condividendo dati e conoscenze con la comunità scientifica ed il territorio, oltre che svolgendo attività di educazione ambientale alle giovani generazioni.

Il direttore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse, Antonello Provenzale ha aggiunto: «L’isola di Pianosa, grazie alla sua posizione nel Mediterraneo ed alla sua inclusione dal 2009 nel piano del Parco dell’arcipelago Toscano, rappresenta un laboratorio naturale ideale per lo studio dei cambiamenti climatici. Grazie infatti alle sue peculiarità non solo marine ma anche geologiche, si presta a raccolta dati e ricerche di particolare rilevanza scientifica. Per questo, l’avere una sede logistica permanente ed attrezzata, in un “laboratorio naturale”, significa fornire un sicuro supporto ai team di ricerca multidisciplinari provenienti dall’intero bacino mediterraneo».

La base vuole quindi essere un centro di networking per ricercatrici e ricercatori provenienti da discipline diverse in grado di promuovere sinergia di ricerca e curiositydriven anche in tematiche urgenti come i cambiamenti climatici. Tutto questo grazie agli sforzi congiunti che hanno permesso di rinnovare e di ampliare gli spazi esistenti con l’allestimento di nuovi laboratori per misure in campo, una foresteria attrezzata per ospitare fino a 25persone, una sala convegni equipaggiata per teleconferenze e un supporto tecnico-logistico per l’avvicendamento di diversi gruppi di ricerca nazionali e internazionali. La BRP è inoltre una struttura funzionale aperta per la formazione, disseminazione e divulgazione pronta ad accogliere le ricercatrici e i ricercatori del futuro.

Autore: Luciano Celi

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Lo Sfalcio dei Prati https://www.semidiscienza.it/2023/05/23/lo-sfalcio-dei-prati/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=lo-sfalcio-dei-prati https://www.semidiscienza.it/2023/05/23/lo-sfalcio-dei-prati/#respond Tue, 23 May 2023 11:08:30 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2402

Di Matteo Bo

Lo sfalcio dei prati, inteso come la fienagione dei campi agricoli o più semplicemente il taglio dell’erba nel proprio giardino, è un’azione che può avere un impatto non trascurabile sull’ambiente. In questo articolo, nella fase dell’anno in cui si verifica la maggior frequenza dei tagli, si descriveranno alcune caratteristiche di questo fenomeno ecologico alla micro-scala dando qualche spunto utile nella gestione delle aree verdi urbane e delle conseguenti ricadute per le numerose forme di vita che ospitano.

È un dato ormai assodato che il passaggio dai sistemi tradizionali di coltivazione all’agricoltura intensiva ha eliminato una notevole quantità di spazi e nutrienti per numerose specie animali e vegetali che prosperavano nelle nostre campagne. Un esempio tipico è il taglio degli alberi ad alto fusto e l’eliminazione delle siepi così come l’estensione delle superfici coltivate a monocoltura (mais tipicamente) che hanno stravolto il paesaggio della pianura padana (e non solo) generando la forte riduzione o sparizione di varie specie autoctone di invertebrati, piccoli mammiferi e uccelli. La seguente immagine tratta dal sito dell’associazione culturale La Biolca rende un’idea di tale sconvolgimento del paesaggio agricolo.

Fonte: La Biolca

Questo contesto ha portato le rimanenti specie animali a rivolgersi alle superfici ancora naturali, ai prati incolti e agli spazi urbani (parchi pubblici e giardini privati) per procacciarsi i nutrienti necessari. Il taglio dell’erba in queste aree può stravolgere nel giro di pochi minuti non solo l’estetica del posto ma anche le possibilità di sopravvivenza di molti animali e lo stesso micro-clima. Un prato fiorito è infatti la casa vera e propria di vari animali (invertebrati di vario ordine, serpenti e piccoli roditori per fare qualche esempio) nonché il “negozio di alimentari” di tutte le specie impollinatrici. Inoltre, la presenza di “erba alta” comporta una maggiore capacità di trattenere l’umidità da parte del terreno agendo in contrasto con i fenomeni di erosione e siccità, proteggendo anche gli arbusti e le piante ad alto fusto dai prolungati periodi senza precipitazioni.

Come descritto in un recente articolo di Nuova Ecologia, in alcuni paesi quali la Germania e la Svizzera sono state regolamentate le attività di sfalcio per contrastare la perdita di biodiversità da esse generato. Con poca differenza nelle scelte effettuate nella gestione delle proprie aree verdi pubbliche e private si può infatti arricchire o impoverire fortemente l’ecosistema di una città e dei suoi dintorni. Un esempio è quello di uno studio condotto nella Riserva naturale di Canale Monterano sulle frequenze orarie di passaggio al nido per nutrire i pulli da parte di differenti famiglie di uccelli Saltimpalo: nelle aree sfalciate si è passati da 24-25 prede/ora a 12-13 prede/ora con una riduzione anche delle dimensioni degli insetti predati e conseguentemente delle possibilità di vita dei piccoli. Un dato altresì significativo è che tra Stati Uniti e Canada (ma la situazione in Italia può essere richiamata, pur con le dovute proporzioni) la scelta di coltivare i giardini  “all’inglese” occupa uno spazio di circa 25 milioni di ettari (circa 10 volte la Sardegna come sottolineato in un post di Alberto DeLogu): si tratta della più grande tipologia di “coltivazione” del Nord America, con una biodiversità bassissima, senza fornire nutriente alla grandissima maggioranza delle specie animali che vivono nei prati, determinando il consumo di milioni di barili di benzina e producendo milioni di tonnellate di anidride carbonica.

Per fortuna esistono alcune buone pratiche, soprattutto anche di semplice implementazione, per ridurre o evitare lo sconvolgimento dovuto al taglio delle aree verdi, tra le quali:

  • Effettuare un taglio “a mosaico” ovvero lasciando alcune aree nel pieno della fioritura incolte per poi rimandare ad un successivo taglio,
  • Tagliare a 10-12 cm e non a raso in modo da aumentare le possibilità di sopravvivenza di bruchi, anfibi e rettili,
  • Effettuare un taglio ritardato di qualche giorno consentendo di completare i cicli di riproduzione di alcuni animali e la semina naturale dei fiori,
  • Nei campi e nelle superfici estese, iniziare il taglio dal centro e non da un lato in modo da permettere a molti animali di mettersi in salvo verso i bordi esterni,
  • Lasciare aree incolte durante il periodo invernale rimandando l’eventuale fresatura di orti e campi.

Come riflessione finale, un po’ provocatoria e forse un po’ banale, la domanda che dovrebbe porsi ciascun proprietario di una superficie verde di varia dimensione quando si tratta di gestirla nel taglio o nella potatura: posso attendere ancora un po’ e lasciare magari anche quell’angolo incolto, risparmiando 2 litri di benzina del decespugliatore o qualche kW di elettricità del tosaerba, per godere della vista di qualche apina e del cinguettio di qualche uccello? Quanti litri d’acqua risparmio lasciandola più alta e non dovendola quindi irrigare in continuo perché non ingiallisca?

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Inquinamento da plastica sulle rive del fiume Durance: prima quantificazione e possibili misure ambientali per ridurlo https://www.semidiscienza.it/2022/09/05/inquinamento-da-plastica-sulle-rive-del-fiume-durance-prima-quantificazione-e-possibili-misure-ambientali-per-ridurlo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=inquinamento-da-plastica-sulle-rive-del-fiume-durance-prima-quantificazione-e-possibili-misure-ambientali-per-ridurlo https://www.semidiscienza.it/2022/09/05/inquinamento-da-plastica-sulle-rive-del-fiume-durance-prima-quantificazione-e-possibili-misure-ambientali-per-ridurlo/#respond Mon, 05 Sep 2022 11:32:42 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=1717

Di Tosca Ballerini

L’inquinamento da plastica è uno dei problemi più urgenti del nostro tempo, con impatti negativi sugli ecosistemi naturali, sulla salute umana e sul sistema climatico. L’identificazione dei principali rifiuti abbandonati nell’ambiente è essenziale per definire le priorità delle politiche ambientali volte a prevenire le perdite di plastica e a promuovere un’economia circolare.

Nell’articolo scientifico “Plastic pollution on Duranceriverbank: first quantification and possible environmental measures to reduce it” sono stati presentati i primi dati di abbondanza di macrorifiuti in tre siti sulla riva del fiume Durance e in un sito sulla spiaggia del lago Serre-Ponçon, nella Région SUD-Provence-Alpes-Côte d’Azur, nel sud-est della Francia, e sono state proposte delle misure ambientali per ridurre tale inquinamento.

Rifiuti di plastica: l’82% dei rifiuti

I dati sono stati raccolti attraverso la citizen science tra il 2019 e il 2020 e in totale sono stati classificati 25.423 rifiuti, di cui l’82% era costituito da plastica.

Gli articoli in plastica monouso corrispondono all’8,13% del totale, mentre le bottiglie di plastica monouso sono tra i primi 10 rifiuti in ogni sito.

L’abbondanza mediana di rifiuti in tutti i campioni è di 2.081 oggetti/100 m, due ordini di grandezza superiore al valore soglia precauzionale stabilito dal gruppo di esperti sul marine litter dell’UE per i rifiuti marini (20 oggetti/100 m).

Per la maggior parte gli oggetti (74,83%) erano piccoli e non identificabili. Pezzi di polistirolo, plastica morbida e plastica rigida hanno rappresentato la maggior parte dei rifiuti in totale (56,63%) e in tre dei siti di studio. I pezzi di vetro corrispondevano al 15,83% del totale dei rifiuti.

Frammenti di teli per la pacciamatura, biomateriali in plastica per il trattamento delle acque e bottiglie monouso

I pezzi di plastica morbida sono la categoria di rifiuti più abbondante in assoluto e corrispondono al 58,85% dei rifiuti in uno dei siti di campionamento lungo l’argine del fiume Durance, situato in una zona agricola, il che suggerisce la loro provenienza da pellicole di pacciamatura agricola.

Tra gli elementi identificabili, i più abbondanti sono stati i biomateriali in plastica utilizzati negli impianti di trattamento delle acque reflue e le bottiglie per bevande monouso in plastica e in vetro.

Lo sviluppo di schemi di responsabilità estesa del produttore per le pellicole di pacciamatura e i biomediali di plastica e di Sistemi di Deposito Cauzionale per le bottiglie di bevande monouso è suggerito come un modo per prevenire le perdite nell’ambiente.

Il lavoro conferma l’opportunità di utilizzare la citizen science per raccogliere dati sul macrolitter e monitorare l’efficacia delle normative ambientali per ridurre l’inquinamento da plastica.

Cosa possono fare i comuni?

I comuni possono limitare in modo significativo l’inquinamento da plastica sul loro territorio attraverso lo sviluppo di strategie integrate che includano appalti pubblici ed esemplarità, nonché l’animazione territoriale. Ad esempio, possono vietare l’uso di prodotti SUP negli edifici ed eventi pubblici e nei luoghi turistici naturali (analogamente a quanto avviene nelle cosiddette “plastic free beaches”), promuovendo al contempo le imprese che decidono volontariamente di ridurre l’uso di imballaggi monouso.

Le strategie di riduzione dell’inquinamento da plastica che possono essere messe in atto dai Comuni includono anche la prevenzione della produzione di rifiuti di plastica e la promozione del riutilizzo; la promozione del consumo di acqua di rubinetto nel proprio territorio; il miglioramento delle infrastrutture di gestione delle acque reflue e delle acque meteoriche per preservare il ciclo dell’acqua dall’inquinamento da plastica; il miglioramento della raccolta e del riciclaggio dei rifiuti di plastica; la riduzione dell’inquinamento da plastica a livello locale attraverso le operazioni di pulizia, che, pur non essendo una soluzione all’inquinamento da plastica in quanto agiscono a valle del problema, hanno il vantaggio di sensibilizzare le persone sulle questioni sollevate dai rifiuti di plastica e di raccogliere dati utili per orientare la strategia locale contro l’inquinamento da plastica.

Per saperne di più:

Ballerini T, Chaudon N, Fournier M, Coulomb J-P, Dumontet B, Matuszak E and Poncet J (2022) Plastic pollution on Durance riverbank: First quantification and possible environmental measures to reduce it. Front. Sustain. 3:866982.

https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/frsus.2022.866982/full

Tosca Ballerini: tosca.ballerini@thalassa.one

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Discorso di inizio anno https://www.semidiscienza.it/2022/01/01/discorso-di-inizio-anno/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=discorso-di-inizio-anno https://www.semidiscienza.it/2022/01/01/discorso-di-inizio-anno/#respond Sat, 01 Jan 2022 16:44:45 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=1539 Come diceva frequentemente il mio mentore Gabriele, è impossibile inseguire l’entropia. Tendiamo al caos e ciò che ci circonda è estremamente complesso. Tuttavia affrontare la complessità, o almeno provarci, è possibile e significa capire che il nostro sistema socio-economico su cui sono basate le nostre vite, ed il nostro stile di vita, è insostenibile perché fuori controllo e contro natura. È un sistema che non tiene conto dei limiti biofisici di un pianeta che invece non possiede risorse illimitate e non comprende uno spazio infinito. 

Si dice che bisogna operare una rapida transizione energetica, ma anche qui entriamo in una questione molto controversa. Le fonti rinnovabili di energia forniscono energia elettrica, ma questa non è concentrata come quella prodotta dai fossili (per intenderci carbone e petrolio), essendo invece distribuita in modo diffuso sul territorio. Questa importante caratteristica permette di soddisfare fondamentalmente le utenze private, ma non il nostro sistema socioeconomico che si fonda sulla disponibilità di  energia concentrata (siderurgia, traffico aereo, traffico marittimo, industria dell’automobile, etc.). Vi è quindi un grande problema legato all’accumulo di questa energia prodotta da fonti rinnovabili. La transizione, anche se dovesse avvenire subito e velocemente, non permetterebbe di sostenere questo modello socioeconomico (fortemente energivoro) attualmente in vigore. Occorrerà lavorare sulla riduzione degli sprechi e dei consumi, ma in particolare sarà necessaria una rivoluzione culturale in grado di preparare le persone ad un nuovo modello di vita. Questo non significa regredire, come spesso viene affermato da alcuni decisori politici, ma anzi significa crescere e farlo in modo sostenibile. Il progresso è tale fino a quando soddisfa i nostri bisogni fondamentali, ma quando diventa alterazione dei nostri ecosistemi e del sistema climatico, inquinamento, eccessivo sfruttamento delle risorse naturali e quando mina la sussistenza delle altre specie allora questo può impattare su noi stessi e mettere in pericolo la sopravvivenza dell’umanità.

Non è più scientificamente possibile “svuotare la miniera e riempire la discarica”, il paradigma economico deve cambiare necessariamente e gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sono un ottimo strumento di governance globale per intraprendere la strada della sostenibilità. Tuttavia non è che la scienza debba dettare riga dopo riga la strategia politica in grado di governare al meglio le nostre vite, ma occorre evidenziare che prima dell’economia ci sono l’ecologia e le leggi fisiche che governano il pianeta e successivamente ci sono i bisogni dell’umanità e dell’economia. Quando saremo consapevoli dei limiti biofisici della Terra e delle capacità degli ecosistemi e delle risorse naturali di rigenerarsi allora avremo davanti a noi un grande progresso.

Buon 2022!

Non tutti i semi forse germinano, ma quando questo accade, anche se non sappiamo in quanto tempo e dove, allora la speranza diventa opportunità di agire e di cambiare le cose. Semina insieme a noi ed unisciti al team di Semi di Scienza. Chi di scienza è amatore, a lungo andar avrà onore!

Yuri Galletti – Presidente

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Pillole di sostenibilità https://www.semidiscienza.it/2021/03/02/pillole-di-sostenibilita-prima-puntata/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=pillole-di-sostenibilita-prima-puntata https://www.semidiscienza.it/2021/03/02/pillole-di-sostenibilita-prima-puntata/#respond Tue, 02 Mar 2021 17:39:23 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=1264

Oggi parliamo di sostenibilità della produzione di cibo e faremo riferimento ad alcuni scritti di Gabriele, aggiungendo qualche recente notizia e integrando con qualche ulteriore dato. Buona lettura! Seguiteci e aiutateci a dipingere insieme il nostro futuro!

Benvenuto Antropocene!

Nel sistema terrestre i nutrienti essenziali per la vita vengono continuamente riciclati, circolarmente, da micro e macrorganismi per poter essere riutilizzati da tutti gli esseri viventi a tutti i livelli della rete trofica: si parla di cicli biogeochimici, e ogni elemento chimico ha il suo. Anche una molecola di acqua ha un ciclo: si parla di ciclo idrologico. Tutte le attività svolte dall’umanità, piccole o grandi che siano, hanno un impatto sull’ambiente naturale e di conseguenza sui cicli biogeochimici. Le attività antropiche che hanno generato i grandi problemi globali quali il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità hanno anche alterato il ciclo di due elementi chimici essenziali per tutti gli esseri viventi come l’azoto e il fosforo (potete approfondire l’argomento ricercando sul motore di ricerca lo studio sui confini planetari portato avanti da Johan Rockström dello Stockholm Resilience Center e Will Steffen della Australian National University). Tutti questi processi si influenzano a vicenda, provocando una perturbazione molto significativa dell’equilibrio biologico, geologico, chimico e fisico dell’intero pianeta.

In questo contesto l’agricoltura impersona un ruolo molto particolare, in quanto l’attuale modello intensivo è al tempo stesso carnefice a vittima della crisi climatica, delle alterazioni del ciclo dell’azoto e del fosforo e del processo di degrado degli ecosistemi. Il modello industriale di produzione del cibo contribuisce al mutamento del clima con il 35% delle emissioni di anidride carbonica, metano e protossido di azoto, e consuma il 38% del suolo utile e il 70% dell’acqua; l’agricoltura intensiva ha già distrutto o trasformato radicalmente il 70% dei pascoli, il 50% delle savane, il 45% delle foreste decidue temperate e il 25% delle foreste tropicali. Nello stesso tempo il comparto agricolo subisce le conseguenze negative di tutti questi fenomeni, e vede seriamente minacciate le sue capacità produttive. Nell’ambito specifico della produzione zootecnica e ittica, gli allevamenti intensivi per la produzione di carne sono il settore che su molteplici fronti genera la maggiore quantità di effetti collaterali. Quanto agli stock ittici, il 48% di quelli atlantici e il 93% di quelli mediterranei è sovrasfruttato: alla fine di marzo 2019 l’Italia ha esaurito la sua produzione interna, e da quel momento in poi, fino alla fine dell’anno, ha dovuto dipendere interamente dall’importazione di pescato dai paesi in via di sviluppo. A partire dal 7 luglio 2019 la stessa condizione si è realizzata per l’intera Europa. Le strategie ormai irrimandabili finalizzate a migliorare la sostenibilità del nostro sistema ci obbligano a costruire e diffondere molto rapidamente dei modelli alternativi di produzione del cibo che possano fare a meno degli idrocarburi, rispettino criteri di alta efficienza e alta resilienza, funzionino con logiche di economia circolare, e siano attuabili anche in ambiti urbani e periurbani, onde poter contribuire all’autosufficienza alimentare dei grandi centri abitati nei quali oggi vive più della metà della popolazione mondiale.

L’Unione Europea definisce questi obiettivi come priorità da mettere in atto entro il traguardo cruciale del 2050.

Servono idee, ma soprattutto investimenti.

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Il mare svuotato https://www.semidiscienza.it/2020/11/30/il-mare-svuotato/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-mare-svuotato https://www.semidiscienza.it/2020/11/30/il-mare-svuotato/#respond Mon, 30 Nov 2020 09:01:40 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=1192 L’irresistibile prospettiva di un’altra nuova frontiera per l’attività economica mondiale ha portato a valutazioni entusiastiche e, molto probabilmente, troppo entusiaste della possibilità di sfruttare il mare per nutrire il mondo, fornire energia a basso costo, diventare una nuova fonte di minerali e altri miracoli futuri. Questo libro dà alcune indicazioni concrete su come veramente, al di là degli entusiasmi, dovremmo guardare al futuro dei nostri mari: gli autori, mettendosi sulle orme dei nostri remoti antenati che hanno gradualmente scoperto il mare e le sue risorse, ci parlano della “maledizione del pescatore” – una maledizione di tipo “economico” appunto, perché i pescatori sono sempre stati non proprio ricchi nonostante tanto lavoro e il progresso tecnologico –, ci spiegano perché gli esseri umani tendono a distruggere le risorse da cui dipendono e ci introducono, in modo critico, le possibili tecniche per l’estrazione di ulteriori risorse dal mare.

La conclusione è la seguente: il mare non è ancora sfruttato così a fondo come la terra e alcune nuove idee, come quella di usare il plankton per il settore alimentare, promettono bene. Ma il fatto è che il grado di sfruttamento attuale dell’intero ecosistema marino è comunque già sopra ogni limite di sostenibilità: il settore della pesca a livello mondiale è in declino, il traffico navale turistico e commerciale è già intensissimo e, non ultimo, il mare è diventato il più grosso ricettacolo di rifiuti di tutte le attività umane.  

E questi sono solo alcuni dei temi che il volume tratta, cercando di proporre una visione realistica di quale futuro si prospetta per l’ambiente marino. Ma scoprirete anche molte altre cose interessanti: le gesta dei Neanderthal, che affrontarono per primi il grande blu con una semplice canoa, come è stato possibile per cinque uomini su una piccola barca uccidere una balena gigante, che tipo di olio le vergini del Vangelo mettevano nelle loro lampade, e come un professore di matematica, Vito Volterra, scoprì le ”equazioni di pesca”, perché è diventato così facile essere punti da una medusa mentre si nuota nel mare, e come giocare a Moby Dick, un semplice gioco da tavolo che simula lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e che troverete allegato al volume.

Dopo aver letto questo libro coinvolgente e perspicace sulla relazione in rapida espansione tra l’umanità e il mare, il lettore avrà visto quanto l’ambiente marino ci parla già tanto di sé e del suo stato di salute, senza dover per forza indossare maschere e bombole ed essere esperti subacquei.

Gli autori: Ilaria Perissi e Ugo Bardi

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L’almanacco della contea di sabbia e l’ecologia. https://www.semidiscienza.it/2020/11/02/lalmanacco-della-contea-di-sabbia-e-lecologia/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=lalmanacco-della-contea-di-sabbia-e-lecologia https://www.semidiscienza.it/2020/11/02/lalmanacco-della-contea-di-sabbia-e-lecologia/#respond Mon, 02 Nov 2020 08:49:51 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=1173 Ho appena chiuso l’ultima pagina di Pensare come una montagna. A Sand County Almanac, Piano B edizioni. L’autore, Aldo Leopold, è considerato – non a torto, dopo aver letto il libro – uno dei padri dell’ecologismo d’oltreoceano. Non so per quale ragione l’editore abbia voluto lasciato il sottotitolo in inglese, ma, accostato al fascino di comprendere cosa si saprà, leggendo queste pagine, su questa “contea di sabbia” c’è questa parola antica, “almanacco”, che rimanda a una serie di significati[1] tra i quali c’è quello di “diario” su cui si riportano notizie. Ebbene questo è in effetti un diario, un diario di osservazioni sparse che non esito, personalmente, a definire poetiche, nella più alta accezione del termine.

Leopold accosta con estrema semplicità ragionamenti dettati da una ecologia che definiremmo “pratica”, basata sull’osservazione, a momenti di grande afflato verso animali e piante con cui entra in contatto. Il suo sembra essere un “ecologismo integrale”: in Leopold il motore della sua voglia di conoscere e di quello che racconta in queste pagine è, come per ogni scienziato che si rispetti, la curiosità, ma anche l’amore, intenso e totale, per quel che osserva. Testa e cuore quindi, insieme, per conoscere e raccontare osservando.

I pensieri di Leopold sembrano scritti oggi (e invece la prefazione del libro ci dice che li scrisse prima del 1948, anno in cui tragicamente morì nel tentativo di spegnere un incendio) e questo ci fa ancora più impressione. Molti sono i punti in cui si potrebbe citarlo, ma, prendendone uno a caso, tra i molti sottolineati, cito:

La conservazione è uno stato di armonia tra gli uomini e la terra. Nonostante quasi un secolo di propaganda, l’ambientalismo procede ancora a passo di lumaca; i suoi stessi progressi, la gran parte, si riassumono in buone intenzioni e dimostrazioni di oratoria. Facciamo ancora un passo avanti e due indietro. (p. 215)

Personalmente è da quando avevo vent’anni che sento parlare di “educazione ambientale”: adesso che ne ho 50 mi pare che questa “educazione” abbia sortito scarsi effetti su coloro che nel frattempo, dopo di me, sono stati cresciuti e avrebbero dovuto sviluppare una “sensibilità” (ambientale) a seguito di questa educazione. A giudicare da come viene trattato il mondo intorno a noi, non si può che concordare con Leopold (“un passo avanti e due indietro”, ma a volte ho il sospetto che quelli indietro siano più di due), nonostante siano passati oltre settant’anni dal momento in cui vergò questa riflessione.

Nel libro, diviso in tre parti, non manca una lunga riflessione su un fenomeno che negli Stati Uniti aveva già preso piede: il turismo di massa, “mordi e fuggi”, nella “natura”. Una delle cose che mi impressionavano di più da ragazzo – e anche quando, in età più adulta, ho abitato a Torino – era “l’assalto alla montagna” operato dai comuni cittadini che, tipicamente nel fine settimana, dovendo scegliere la gita di un giorno che non diventasse un’odissea di andata e ritorno dal mare della Liguria, il più vicino, o la montagna (l’arco alpino offre un certo numero di possibilità da Torino), optavano per quest’ultima. Ho avuto per diversi anni due stanze in affitto al confine sud (quello piemontese appunto) del Parco Nazionale del Gran Paradiso e… li vedevo arrivare.

In tono vagamente canzonatorio-dispregiativo li chiamavamo i “merenderos”: sulle proprie auto, accaldati, nonostante l’aria condizionata (ma il fenomeno era in auge già quando l’aria condizionata era ancora un optional nelle auto), in fuga dalla città bollente, arrivavano a mezza mattina, con il loro carico di masserizie e l’occorrente per tutti i comfort per il picnic fuori casa e… a due passi dall’auto, letteralmente sul ciglio della strada. Da un lato bene: meglio così che averli tutti tra i sentieri, magari a “dimenticare” cartacce in giro, ma comunque un triste spettacolo, per una natura fruita solo per la mitigazione della temperatura dovuta alla quota e null’altro. Ricordo che fuggivo/fuggivamo presto sui sentieri, prendendo quota in fretta, avvantaggiati dalla logistica dell’aver dormito lì dove loro tra poche ore sarebbero arrivati. Ci sentivamo in questo senso proprio come gli animali che scompaiono quando la densità umana si fa eccessiva (e chiassosa).

Altro che la “wilderness” agognata da Leopold! Proprio su questo l’autore cita il suo “padre spirituale” Henry David Thoreau, dicendo che la “natura selvaggia”, la wilderness, salverà il mondo. A più di un secolo e mezzo da quelle parole nella triste considerazione dello stato in cui si trova oggi questa wilderness, siamo certi – come in una equazione matematica – che il mondo non si salverà.

Già in questi scritti il tono di Leopold è drammatico: egli è perfettamente consapevole di quella che è la “macchina del progresso” in nome della quale tutto sembra essere sacrificato e sacrificabile: tutto ciò che è selvaggio viene considerato come “vuoto” o “inutilizzato” e quindi in definitiva inutile. Egli mostra come la prospettiva debba essere completamente rovesciata: ogni spazio non toccato del mondo è una risorsa e una ricchezza inestimabile e non quantificabile con il solo denaro, ma in quanti gli hanno creduto a suo tempo e gli sono andati dietro? Quanti lo fanno adesso?

Le sue parole poi, nella contingenza del momento attuale e della cronaca che arriva da questa parte dell’oceano, suona non solo amara, ma come un vero e proprio canto di morte: gli Stati Uniti, nella costa ovest stanno letteralmente andando in fumo. I quotidiani online, i social e i servizi televisivi ci mostrano una realtà apocalittica, con cieli arancioni e “marziani”. Gli stati di California, Oregon e Washington sommano un totale di territorio andato in fumo pari all’Abruzzo.

Per finire, non manca qualche contraddizione – soprattutto ai nostri occhi “moderni” – nel libro: Leopold è sempre stato un convinto cacciatore e non ne fa mistero in queste pagine. Questo aspetto stride alle nostre orecchie, ma il suo pensiero non ne viene intaccato e anzi: forse proprio arrivando da quel mondo sembra avere ancora un maggior valore.


[1] Tra questi vi è senz’altro, per chi è vecchio abbastanza, quello che rimanda all’“Almanacco del giorno dopo”, una trasmissione RAI che ha preceduto il telegiornale della sera dal 1976 al 1992. Per qualche informazione in più su questo “contenitore televisivo” che ebbe un certo successi, di veda la relativa voce Wikipedia.

Autore: Luciano Celi

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