cambiamento climatico – Semi di Scienza https://www.semidiscienza.it Sat, 28 Sep 2024 10:34:36 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8.10 https://www.semidiscienza.it/wp-content/uploads/2019/01/cropped-Semi-di-scienza-1-32x32.png cambiamento climatico – Semi di Scienza https://www.semidiscienza.it 32 32 Cambiamo energia https://www.semidiscienza.it/2024/03/13/cambiamo-energia/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=cambiamo-energia https://www.semidiscienza.it/2024/03/13/cambiamo-energia/#respond Wed, 13 Mar 2024 12:26:05 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2705

Che cosa c’è di più sostenibile delle energie rinnovabili? E di un sistema che permette ai cittadini di produrre da sé l’energia da sorgenti come il sole o il vento, ma non solo – questo c’è già – che permette loro di unirsi in comunità fatte di famiglie, piccole imprese, negozi, enti locali che insieme controllano e gestiscono l’uso di questa energia, perché più autoconsumeranno del “loro” più verranno ricompensati (più del solo autoconsumo)? E così facendo si sganceranno dalle importazioni di combustibili fossili – di gas, per esempio – e così contribuendo a tutelare l’ambiente e l’economia del Paese? 

Un sogno?

Nient’affatto.

È – sarà – una realtà, quella delle Comunità energetiche rinnovabili (CER): incentivate dalla Comunità europea (direttiva europea n. 2001 del 11/12/2018), nel resto dell’Europa si stanno diffondendo a macchia d’olio, soprattutto in alcuni Paesi.

In Italia, dopo una partenza che faceva ben sperare (diversi progetti pilota sono partiti prima che entrasse in vigore la normativa definitiva che regola queste comunità) siamo passati attraverso un periodo di stallo. Come si sa, le direttive europee devono essere recepite da leggi nazionali, e queste per entrare in vigore vanno accompagnate da decreti attuativi che ne regolamentano l’effettiva messa in pratica. Quello che è successo in Italia è che, dopo essere stati molto pronti addirittura ad anticipare l’UE (i progetti pilota) e abbastanza veloci nel legiferare (L. 8/2020 e D. Lgs 199/21), le norme attuative si sono fatte attendere, incagliate tra ministeri italiani (prima MITE, ora MASE) e uffici europei. 

Finalmente, dopo oltre due anni la situazione è stata sanata: ora abbiamo sia le norme attuative (DM 414 del 07.12.2023, pubblicato il 24.01.2024) sia le regole operative del GSE (emanate il 23.02.2024).

Nel frattempo, quello che continua a mancare in Italia è un’informazione chiara e puntuale su come realizzare queste comunità. Siamo onesti: non si tratta di una passeggiata. Per realizzare una CER occorrono diverse conoscenze (tecniche, giuridiche, amministrative). E fondi. Ma si può fare. Ciò che serve ora è diffondere l’informazione su questo strumento che definire rivoluzionario non è fuori luogo e favorire la costruzione di una rete facendo in modo che le conoscenze e le pratiche acquisite da chi in questa impresa si è già buttato possano essere condivise con gli altri e soprattutto siano a disposizione di chi deciderà di imboccare questa strada, senza dover cominciare tutto daccapo.

In questa prospettiva si colloca “Pratiche di sostenibilità. Cambiamo marcia all’energia”, il progetto (sostenuto dall’8×1000 della chiesa valdese) che Semi di Scienza porterà avanti nei prossimi mesi in provincia di Pavia con un duplice obiettivo: informare i cittadini per quanto concerne le sfide ambientali, sociali ed economiche poste dal progredire della crisi climatica, e formarli affinché possano agire nel concreto con interventi resilienti – nello specifico, la costituzione di comunità di cittadini che siano produttori/consumatori di energia, le CER.

Per saperne di più vi condividiamo: (1) i video e il link all’evento “comunità energetiche rinnovabili” tenutosi il 26 ottobre 2023 presso Bereguardo (PV), con la testimonianza di diversi esperti e l’intervento di Cinzia Tromba, referente del progetto.

https://youtube.com/playlist?list=PLHmNCH0JQAjnzefLvRnNcbO9yVzj_9cHN&si=B5_YB-Mn5yp7otJ2

e (2) il video e il link all’evento “Cambiamo Energia, Risparmia, riduci, Condividi con le Comunità Energetiche Rinnovabili” tenutosi a Zinasco (PV) il 19 gennaio 2024.

https://www.youtube.com/live/462oLZyfzDs?si=Cm_AXwySuCSIFCjk

Il nostro manifesto:

8 per mille chiesa valdese profili antropici
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https://www.semidiscienza.it/2024/03/13/cambiamo-energia/feed/ 0
Il tecnofideismo e il pianeta nuovo. Una non-recensione al libro di Oliver Morton « Il pianeta nuovo » https://www.semidiscienza.it/2023/02/03/il-tecnofideismo-e-il-pianeta-nuovo-una-non-recensione-al-libro-di-oliver-morton-il-pianeta-nuovo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-tecnofideismo-e-il-pianeta-nuovo-una-non-recensione-al-libro-di-oliver-morton-il-pianeta-nuovo https://www.semidiscienza.it/2023/02/03/il-tecnofideismo-e-il-pianeta-nuovo-una-non-recensione-al-libro-di-oliver-morton-il-pianeta-nuovo/#respond Fri, 03 Feb 2023 08:57:03 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2235 Di Luciano Celi

La prima stesura di questo documento era avvenuta dopo la lettura un po’ spazientita e con qualche pregiudizio del libro di Oliver Morton, Il pianeta nuovo (il Saggiatore). Avevo deciso per una non-recensione fatta limitandomi alle prime 60 pagine, poi ho pensato che sarei stato ingiusto. La domanda è: si può immaginare di recensire un libro dopo averne letto solo meno di un quinto o, per necessaria correttezza, fondamentale scrupolo anche logico – noto come fallacia induttiva della generalizzazione indebita: “un uomo ha rubato una mela. Quindi tutti gli uomini sono ladri” – e di rettitudine morale, non lo si deve fare fino alla lettura dell’ultima pagina?

In prima battuta avevo deciso di rispondere di sì a questa domanda, ma mi sono dato il tempo di leggere il libro per intero e ho fatto bene – quasi sempre si fa bene a non dare retta all’impulso del primo momento. Ho fatto bene perché Morton è innanzitutto una persona di grande onestà intellettuale, con idee diverse da quelle che posso avere io su molti argomenti, ma non gli si può non riconoscere di porre le questioni nella maniera adeguata, soprattutto per un argomento tanto controverso come quello della geoingegneria. Perché di questo il cospicuo volume – che pure parte da lontano – parla. E ne parla avanzando, per primo l’autore stesso, una serie di critiche a questa ipotetica metodologia che consiste, in sostanza, in una serie di tecniche volte a mitigare gli effetti del riscaldamento globale usando stratagemmi quali la velatura stratosferica. Alcune delle critiche che feci in prima battuta restano valide, come l’affermazione, nelle prime pagine (p. 12 per la precisione) in cui l’autore accenna ai “molti […] dubbi sulla portata del cambiamento climatico che il pianeta affronterà nei decenni e nei secoli a venire” e descrive molto sommariamente i limiti dei modelli climatici che, in quanto tali, sono capaci di rappresentare in una certa misura e con un certo grado di affidabilità, spesso dichiarato nella previsione stessa, una situazione climatica futura.

Qui per esempio Morton sembra ignorare un diagramma, passato forse troppo sotto silenzio, in un vecchio articolo scientifico – un editoriale per essere precisi – di Bernard Etkin: A state space view of the ice ages—a new look at familiar data, sulla rivista “Climatic Change” (2010) 100:403–406 DOI: 10.1007/s10584-010-9821-x. Il diagramma di fase è di facile comprensione ed è riportato qui di seguito.

In ascissa la concentrazione atmosferica di CO2 in parti per milione e in ordinata le anomalie delle temperature. C’è, come si vede, una zona evidenziata dall’ellisse in cui le fluttuazioni si sono mosse dentro quell’area specifica che possiamo considerare una zona di equilibrio. A un certo punto però la linea esce dall’ellisse e, all’aumentare della concentrazione atmosferica di CO2, prende una strada tutta sua. Per andare dove? Chi lo sa! Possiamo e vogliamo auspicare verso una nuova zona di equilibrio, ma è troppo presto per dirlo visto che in sostanza – data la scala dei tempi – ci troviamo in media res. Varrebbe quindi da applicare ciò che passa sotto il nome di principio di precauzione ( link: https://it.wikipedia.org/wiki/Principio_di_precauzione), ovvero: siccome non sappiamo dove si sta andando a parare ed esploriamo un territorio ignoto, sarebbe il caso di ripensare l’approccio al pianeta di cui siamo ospiti e non porre le premesse per l’uso della geoingegneria. Il rischio concreto è che la toppa sia peggio del buco, con l’aggravante che… non ce lo possiamo permettere, visto che la posta in gioco è di fatto la sopravvivenza dei Sapiens sul pianeta. Morton discute anche di questo nella parte finale del libro, mettendo in chiaro i possibili benefici, ma anche i molti rischi che vanno dall’azzardo morale (la cui spiegazione è semplice: ipotizzando di riuscire a creare un velo efficace e, più in generale, ci sono i sistemi per tenere sotto controllo il termostato della terra, allora possiamo continuare a bruciare le fossili come vogliamo) alle conseguenze impreviste che tirano in ballo il principio di precauzione di cui sopra.

Un secondo esempio è dato poco dopo (p. 28) dove si incorre in una sorta di fallacia, abbastanza nota, del “tutto o niente”, ovvero: poiché l’urgenza climatica è tale da indurre un’azione molto estesa sin da subito, i contributi delle singole nazioni, anche di quelle più virtuose – vengono citate espressamente Germania e, all’interno degli Stati Uniti, la California – è insufficiente, è troppo poco. Vero, ma anche questo sembra un ragionamento privo di una sua logica – o meglio: dotato di una logica utile a sostenere la tesi geoingegneristica per la quale la scala su cui agire, lasciando il resto del mondo così com’è, vale a dire con la combustione dei combustibili fossili, ecc., è e deve essere mondiale. Esistono infatti delle sane gradazioni tra lo 0% e il 100% e sane lo sono perché mostrano che lo sforzo al virtuosismo e alla sostenibilità può e deve essere affrontato con metodi tradizionali e, aggiungiamo, con quello che dovrebbe essere un cambio di paradigma. Un paradigma che parla di diminuzione consapevole dei consumi, di standard di vita, buoni ma non eccessivi, ecc. Intanto partiamo con quel che si ha, diamo spazio ai virtuosi e facciamo in modo che il resto delle nazioni segua!

Il libro però è interessante e, sotto molti aspetti, stimolante, come quando si traccia il parallelo tra le paure di una minaccia nucleare globale e il cambiamento climatico: i modelli – e all’inizio anche i calcolatori impiegati! – racconta Morton, erano in sostanza gli stessi. Le macchine che calcolavano le reazioni nucleari erano quelle che cercavano di predire cosa avrebbe comportato lo sconsiderato aumento di CO2 in atmosfera.

Insomma, per concludere: la strada su cui stiamo secondo l’autore sembra essere l’unica percorribile e non si immagina una vera libertà di scelta per l’umanità. Una scelta che dovrebbe essere anche socialmente più sostenibile, ma che di fatto non viene mai realmente presa in considerazione, affidando solo ed esclusivamente la tecnologia il salvifico compito della vita umana sul pianeta, nonostante tutto e nonostante i rischi che l’autore stesso paventa. In tutto il libro l’autore sembra non chiedersi mai: se il frutto dell’ingiustizia energetico-climatica nella quale viviamo è proprio stato il paradigma nel quale siamo vissuti finora, non sarebbe il caso di un ripensamento generale? No, la domanda non lo sfiora mai. Anzi, la soluzione – o meglio: la Soluzione – è, ancora una volta, la tecnologia, a costo di far danni ancora peggiori, come uno degli scenari descritti alla fine, secondo cui è possibile che, non conoscendo esattamente le retroazioni della complessa macchina climatica, si esasperino – più o meno volontariamente – le ingiustizie climatiche che già esistono.

Tutto questo mi porta alla mente un esempio che tutti abbiamo oggi sotto gli occhi: le auto di nuova generazione sono tutte (o quasi) dotate di ogni sorta di gadget tecnologico, primo tra i quali quello della “sicurezza anticollisione” creato, credo, per tutti coloro che dovendo stare in auto a giornate sane, nell’abitacolo fanno di tutto tranne che guidare. Tanto c’è l’anticollisione che ci pensa, e io posso continuare a tenere gli occhi fissi sul mio telefono cellulare o sul touchscreen dell’auto. Questo il messaggio. Un messaggio che trovo pericolosamente deresponsabilizzante: abdicare al nostro ruolo consapevole e cosciente di conservazione di habitat necessari a una nostra buona vita, come animali (evoluti?) tra gli animali.

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https://www.semidiscienza.it/2023/02/03/il-tecnofideismo-e-il-pianeta-nuovo-una-non-recensione-al-libro-di-oliver-morton-il-pianeta-nuovo/feed/ 0
I successi e i fallimenti della COP27 per disegnare il cammino verso la COP28 di Dubai https://www.semidiscienza.it/2022/12/07/i-successi-e-i-fallimenti-della-cop27-per-disegnare-il-cammino-verso-la-cop28-di-dubai/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=i-successi-e-i-fallimenti-della-cop27-per-disegnare-il-cammino-verso-la-cop28-di-dubai https://www.semidiscienza.it/2022/12/07/i-successi-e-i-fallimenti-della-cop27-per-disegnare-il-cammino-verso-la-cop28-di-dubai/#respond Wed, 07 Dec 2022 21:01:51 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2130 Di Domenico Mecca

Cala il sipario sulla ventisettesima conferenza delle parti, la più importante conferenza sul clima organizzata dalle Nazioni Unite con lo scopo di agire in lotta al cambiamento climatico. Quest’anno sono stati 197 i paesi che hanno preso parte ai tavoli di negoziazione sulle tante tematiche portate in discussione alla cop: dalla mitigazione delle emissioni ai piani di adattamento, dalle perdite e danni alla finanza climatica. 

A dieci giorni dalla conclusione di COP27 ritorniamo sul testo dell’accordo finale con lo scopo di comprendere quali sono i tanti fronti ancora aperti che saranno i protagonisti del percorso verso la COP28, in programma a Dubai dal 30 novembre al 13 dicembre 2023. 

L’accordo finale è stato siglato nella notte tra sabato 19 e domenica 20 novembre dopo intense giornate di negoziazioni svoltesi a porte chiuse. Emerge dall’accordo come questa conferenza potrà essere ricordata come una cop andata bene, ma non benissimo. 

Uno degli elementi per cui ricorderemo COP27 è il raggiungimento di un accordo sul tema “Loss & Damage”. Il tema perdite e danni entra a pieno titolo come terzo pilastro nella lotta al cambiamento climatico insieme a mitigazione delle emissioni e adattamento agli effetti da esse provocati. Dopo trent’anni dalle prime discussioni in materia, le Parti hanno raggiunto un accordo sull’istituzione di un fondo per il risarcimento delle perdite e dei danni subiti dai paesi in via di sviluppo. I paesi sviluppati hanno dunque riconosciuto le responsabilità storiche nella generazione del cambiamento climatico, convenendo di supportare finanziariamente i paesi in via di sviluppo, ovvero quei paesi meno responsabili del riscaldamento globale ma che ne subiranno le maggiori conseguenze.

Sarà obiettivo della COP28 rendere operativo il fondo, delineando le sue dimensioni e i criteri per l’accessibilità da parte dei paesi che hanno subito perdite o danni. Rimane significativa la decisione di istituire, in vista della prossima conferenza delle Parti, un comitato che guiderà i lavori sul design del fondo che si compone in quota maggioritaria da paesi in via di sviluppo rispetto ai paesi sviluppati: 14 contro 10. 

COP27 verrà tuttavia ricordata anche per il mancato raggiungimento dell’accordo sull’eliminazione graduale (Phase out) dei combustibili fossili. Nel testo dell’accordo ci si è limitati a un debole “Phase Down” del carbone. Rimane vivo, non con poche difficoltà, l’obiettivo della limitazione dell’innalzamento della temperatura al di sotto di +1.5°C rispetto ai livelli preindustriali. Allo stesso tempo, vengono eliminati i riferimenti al raggiungimento del picco emissioni entro il 2025, fortemente auspicato da ipcc. Considerando l’ambito mitigazione, la COP28 sarà lo scenario per l’aggiornamento dei Nationally Determined Contributions, ovvero degli impegni nazionali sulla riduzione delle emissioni di gas serra sanciti nel 2015 con l’Accordo di Parigi. All’alba della COP27, solamente 33 tra i paesi presenti hanno presentato l’aggiornamento dei propri NDC.

Rimangono aperte tantissime questioni alle quali la COP27 non ha saputo dare risposte. Di spicco, l’attenzione in materia di diritti umani, le politiche di genere, il contrasto alle discriminazioni nell’azione climatica e le migrazioni climatiche. Aveva generato molto entusiasmo l’inserimento di un paragrafo riservato a questi temi nella bozza iniziale di accordo, ridimensionato nel testo finale con un unico riferimento al diritto a un ambiente sano e pulito.  

La lunga strada per l’integrazione dei diritti umani nella lotta al cambiamento climatico potrebbe passare per il Brasile nel 2025. Infatti, nel suo intervento alla conferenza, il neoeletto presidente Lula ha candidato l’Amazzonia come Host Country della COP30, annunciando contestualmente la costituzione di un ministero per le popolazioni indigene, meno resilienti agli effetti del cambiamento climatico e fortemente colpite dalle attività di deforestazione.

In conclusione, uno degli aspetti passato in secondo piano ma di fondamentale importanza è la partecipazione giovanile ai processi decisionali. La COP27 getta le basi per un ruolo sempre più attivo dei giovani all’interno dei meccanismi di negoziazione sulla gestione dei cambiamenti climatici. Per la prima volta nella storia è stato nominato il delegato giovanile alla Presidenza della cop, figura che ha permesso di portare le istanze dei giovani all’interno dell’agenda. Le Parti sono state dunque incoraggiate a costruire ponti tra le generazioni, coinvolgendo i giovani nei propri processi decisionali. Giovani che, lo ricordiamo, sono le persone che vivranno il clima che verrà. 

Domenico Mecca – dottorando di ricerca in Sustainability and Innovation Management e inviato della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa a COP27

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ICOS e le sue sentinelle dell’ambiente https://www.semidiscienza.it/2022/11/04/icos-e-le-sue-sentinelle-dellambiente/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=icos-e-le-sue-sentinelle-dellambiente https://www.semidiscienza.it/2022/11/04/icos-e-le-sue-sentinelle-dellambiente/#respond Fri, 04 Nov 2022 23:02:46 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=2006
A cura di ICOS Italia

Osservare, studiare e monitorare gli ecosistemi, gli oceani e l’atmosfera, con l’obiettivo ultimo di elaborare scansioni e set di dati di alta qualità, necessari alla progettazione di strategie efficaci contro le conseguenze dei cambiamenti climatici.

Questo è l’obiettivo delle diverse stazioni che compongono la rete dell’infrastruttura di ricerca ICOS (Integrated Carbon Observation System). Complessi e differenziati, questi siti di monitoraggio raccolgono informazioni preziose che contribuiscono alla comprensione delle emissioni e degli assorbimenti dei gas a effetto serra, ampliando una conoscenza essenziale, specialmente in ottica del raggiungimento degli obiettivi ambientali e della necessità di ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici.

L’infrastruttura di ricerca europea ICOS RI nasce nel 2008, ed è formata da oltre 150 stazioni distribuite in 13 paesi europei. A livello internazionale, oltre 500 scienziati sono coinvolti nelle operazioni che riguardano la raccolta, l’elaborazione e l’analisi delle informazioni ottenute dai vari siti, localizzati in diverse tipologie di ecosistemi.

La rete italiana si compone attualmente di dieci stazioni atmosferiche, cinque oceaniche e tre atmosferiche. Le strumentazioni dedicate al monitoraggio degli ecosistemi coprono i territori peculiari italiani, spaziando dalla foresta ai campi coltivati fino alle macchie di arbusti. A eccezione della stazione di Lampedusa, che costituisce la più a sud di tutta Europa, i siti atmosferici si trovano principalmente nel nord Italia, sulle Alpi e nel Mediterraneo. Le boe di monitoraggio dell’oceano sono invece posizionate nel Mar Adriatico e nel Mar Ligure. La straordinaria diversità di ambienti, ecosistemi, habitat e realtà ambientali rende l’Italia un punto di osservazione davvero prezioso per la raccolta di dati.

ICOS Italia è coordinato dalla Joint Research Unit (JRU), nata dalla collaborazione di 16 enti di ricerca, università e altri partner. I referenti delle diverse strutture si riuniscono periodicamente nella JRU per riportare sullo stato di avanzamento delle ricerche e per rinnovare l’impegno alla missione dell’infrastruttura. La JRU è coordinata da Carlo Calfapietra, Focal point di ICOS Italia e direttore dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iret). All’Università della Tuscia di Viterbo si trova inoltre l’Ecosystem Thematic Centre (ETC), una struttura che si occupa di coordinare e definire i protocolli e l’elaborazione dei dati raccolti da tutti i siti ecosistemici europei. Coordinato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), e dall’Università della Tuscia in collaborazione con l’Università di Antwerp in Belgio e l’INRAE in Francia, l’ETC è diretto da Dario Papale.

Le 18 stazioni della rete italiana sono dotate di strumenti e dispositivi precisi e tecnologicamente avanzati che raccolgono informazioni sulle concentrazioni e sul flusso di gas a effetto serra, ma allo stesso tempo si occupano di raccogliere dati anche su umidità relativa, radiazione solare, precipitazioni, fenologia, indici spettrali della vegetazione, neve, temperatura del suolo, contenuto idrico del suolo, flussi di calore del suolo, vento, concentrazioni di neve. Tutte queste misurazioni sono fondamentali per ricostruire il quadro delle interazioni che si instaurano a livello ambientale tra gli ecosistemi e i gas a effetto serra, specialmente nell’ottica di mitigazione degli effetti del cambiamento climatico. 

Punta di diamante della rete, la stazione di Lampedusa è l’unica in tutto il network che si comporrà di un osservatorio integrato per le tre componenti. Gli strumenti di monitoraggio atmosferico e oceanico sono già attivi e funzionanti, e la stazione ecosistemica si aggiungerà presto al sito, permettendo una visione di insieme unica e completamente nuova sui parametri utili allo studio integrato dell’ambiente.

In vista degli obiettivi di neutralità dal carbonio, la possibilità di usufruire liberamente di dati puntuali in grado di quantificare e ricostruire le dinamiche di scambio, assorbimento e rilascio dei gas a effetto serra, ICOS, con le sue sentinelle dell’aria, dell’acqua e del suolo rappresenta una fonte di conoscenza davvero inestimabile. 

Link utili 

ICOS Italia https://www.icos-italy.it/  

ICOS Europa: https://www.icos-cp.eu/ 

ICOS Data portal https://data.icos-cp.eu/portal/ 

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https://www.semidiscienza.it/2022/11/04/icos-e-le-sue-sentinelle-dellambiente/feed/ 0
Criptovalute e sostenibilità: un connubio possibile? https://www.semidiscienza.it/2022/10/17/criptovalute-e-sostenibilita-un-connubio-possibile/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=criptovalute-e-sostenibilita-un-connubio-possibile https://www.semidiscienza.it/2022/10/17/criptovalute-e-sostenibilita-un-connubio-possibile/#respond Mon, 17 Oct 2022 20:40:42 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=1949 Ph. di André François McKenzie su Unsplash

Di Maila Agostini

Le criptovalute sono valute visualizzabili solo conoscendo un codice di accesso; non esistono in forma fisica, quindi non è possibile trovare in circolazione, per esempio, bitcoin in formato cartaceo o metallico. Questo tipo di “moneta” non ha corso legale quasi da nessuna parte del mondo; l’accettazione come metodo di pagamento è quindi su base volontaria. Tuttavia, qualche stato come l’Uruguay e il Venezuela hanno deciso di sperimentare l’utilizzo di valuta virtuale nei propri paesi.
Le criptovalute hanno alcune caratteristiche particolari:

  • un protocollo, cioè un codice informatico che specifica il modo in cui i partecipanti possono effettuare le transazioni;
  • un “libro mastro” (blockchain) che conserva la storia della transazioni;
  • una rete decentralizzata di partecipanti che aggiornano, conservano e consultano il libro mastro secondo le regole del protocollo.

Sono soggette a fluttuazioni molto ampie, quindi sono poco efficienti come mezzo di pagamento, in quanto risulta difficile prezzare beni e servizi. Tuttavia, visto che il numero di criptovalute che possono essere generate è limitato, potrebbero assolvere, in futuro, a una funzione di scambio.

Si tratta di monete virtuali decentralizzate, ovvero che non rientrano sotto il controllo di istituti finanziari o governi; essendo immateriali, sembrano “green”, ma sono davvero così sostenibili?
La maggior parte delle persone, pur avendo sentito parlare di criptovalute e blockchain, ha ancora difficoltà a capire come funzionano queste tecnologie. Di cosa stiamo parlando esattamente? Si tratta di una risorsa finanziaria digitale decentralizzata; proprio per questo motivo, le loro fluttuazioni in borsa sono più drastiche rispetto ai tradizionali prodotti economici. La più nota di queste monete digitali è il Bitcoin, le cui transazioni vengono registrate sulla blockchain, una specie di registro digitale in cui le voci sono concatenate in ordine cronologico, che rappresenta il “libro mastro” in cui vengono registrate le operazioni. Le monete virtuali possono essere utilizzate come forma di pagamento per acquisti online, essere scambiate con valute reali oppure essere trattate come un prodotto di investimento, quindi conservate e scambiate quando il mercato è più favorevole.
Ma una moneta virtuale non nasce dal nulla; ha bisogno di essere creata tramite una tecnica chiamata mining.


Mining Farm e alternative


Abbiamo detto che la blockchain rappresenta il libro mastro delle valute digitali; perché tutte le transazioni vengano controllate, i nodi, che rappresentano decine di migliaia di computer, si collegano per supervisionare il funzionamento della catena digitale. Devono quindi dare il via libera alla transazione, verificando che sia autentica, e vengono “pagati” per questo lavoro di controllo proprio in criptovaluta. Tuttavia, non tutti i computer che si collegano approvano la transazione, masoltanto il primo che riesce a risolvere un complicato algoritmo. Si genera quindi una “gara”, in cui migliaia di computer competono per trovare la soluzione.

Siamo al punto caldo; le critiche principali che vengono mosse a queste tecnologie sono dovute alle enormi emissioni di anidride carbonica delle mining farm. Le macchine, lavorando in competizione per la stessa transazione, si azionano simultaneamente; questo vuol dire che si consumano quantità elevatissime di elettricità che, ovviamente, produce gas serra.

Alcune valute sono più sostenibili di altre, anche solo per il minore numero di transazioni che vengono effettuate con quella moneta. Ci sono quindi più fattori da considerare: il numero di transazioni, gli algoritmi e i sistemi utilizzati. Non tutte le criptomonete utilizzano il metodo proof of work; alcune si basano su tecnologie proof of storage, che invece di riservare capacità di calcolo riserva spazio di archiviazione, oppure block lattice, un’infrastruttura simile a una catena di blocchi in cui ogni utente è proprietario della sua catena e quindi l’intera rete non viene aggiornata contemporaneamente; si può altrimenti utilizzare il sistema proof of stake, che seleziona casualmente alcuni nodi della blockchain. Questi metodi sono molto più ecologici rispetto al proof of work.

Il meccanismo proof of stake richiede meno dell’1% dell’energia utilizzata per minare Bitcoin; questo significa che è possibile aumentare il numero di transazioni gestite di quasi un ordine di grandezza. Un cambiamento radicale si avrà con il passaggio di Ethereum al sistema proof of stake. Essendo questa valuta la seconda per importanza, il numero di operazioni gestite dalla stessa potrebbe aumentare, mentre diminuiscono i consumi necessari per la gestione.
Se si trattasse soltanto di monete scambiate a fini speculativi, forse il problema non sarebbe così grande; in realtà, alcune di queste valute virtuali consentono l’utilizzo della tecnologia blockchain per diverse applicazioni. Cardano, per esempio, su richiesta del governo etiope, tiene traccia delle performance degli studenti, per evitare falsificazioni di certificati scolastici, piaga diffusa nel paese. Altre, invece, come Ethereum, consentono di autenticare le proprie opere d’arte digitali, permettendo agli artisti di avere un compenso per il loro lavoro. 


Verso la svolta green


Risulta quindi evidente che i big del settore tecnologico abbiano un grande peso nella svolta green delle criptomonete. Questo ha portato parte dell’industria legata al mining, a lavorare a un accordo sul clima, in modo da limitare il costo energetico dei nodi coinvolti nelle operazioni (basti pensare che, da solo, il Bitcoin consuma annualmente la stessa energia di Hong Kong, mentre Ethereum consuma circa quanto la Lituania). Questa operazione di auto-regolamentazione si impone due tappe principali: la prima, da raggiungere entro il 2030, vede tutte le operazioni sostenute da fonti rinnovabili; la seconda tappa, fissata per il 2040, mira a raggiungere la neutralità climatica con emissioni zero. Questo significa che si dovrà trovare anche uno standard comune per misurare le emissioni dovute alle valute digitali.


Sarà un compito arduo il coinvolgere tutti gli attori di questo mercato, proprio perché la maggior parte delle criptomonete è pensata per essere un sistema decentralizzato e senza supervisione. Inoltre, momentaneamente, non si hanno obiettivi concreti, se non i due principali, la sostenibilità e l’impatto zero, fissati per il 2030 e il 2040. Probabilmente questo è dovuto anche al fatto che si tratta di un settore innovativo, in cui si ha la necessità di trovare nuove strade. La difficile sfida per rendere green le criptovalute, guidata interamente dal settore privato, è appena all’inizio.


Sitografia:
www.cryptoclimate.org
www.theverge.com/
www.greencluster.it

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Desertificazione, siccità e cambiamento climatico: dobbiamo iniziare a pensare come la formica di Esopo https://www.semidiscienza.it/2022/07/01/desertificazione-siccita-e-cambiamento-climatico-dobbiamo-iniziare-a-pensare-come-la-formica-di-esopo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=desertificazione-siccita-e-cambiamento-climatico-dobbiamo-iniziare-a-pensare-come-la-formica-di-esopo https://www.semidiscienza.it/2022/07/01/desertificazione-siccita-e-cambiamento-climatico-dobbiamo-iniziare-a-pensare-come-la-formica-di-esopo/#respond Fri, 01 Jul 2022 16:59:26 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=1689

Di Camilla De Luca e Yuri Galletti

Il 17 Giugno è il giorno dedicato dalle Nazioni Unite (ONU) alla lotta alla desertificazione e alla siccità.

Ma cosa indica la parola desertificazione? Rappresenta il fenomeno relativo all’espansione dei deserti esistenti?

No, se facciamo riferimento alla definizione data dall’ONU: “La desertificazione è la degradazione della terra che viene trasformata in aree aride, semi-aride e sub-umide. Essa è causata principalmente dalle attività umane e dalle variazioni climatiche”. Si tratta quindi da un lato di una conseguenza dell’uso improprio della terra, attraverso per esempio la deforestazione, il sovrasfruttamento della risorsa suolo e le cattive pratiche di irrigazione, le quali riducono la produttività del terreno. Dall’altro lato, la desertificazione, così come la siccità, sono una conseguenza del cambiamento climatico. Secondo una ricerca pubblicata su Nature, infatti: “il cambiamento climatico antropogenico ha degradato il 12,6% (5,43 milioni di km2) delle zone aride, contribuendo alla desertificazione e colpendo 213 milioni di persone, il 93% delle quali vive in economie in via di sviluppo”.

Il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres si è espresso in occasione della giornata insistendo sul fatto che entro metà secolo tre quarti della popolazione potrebbe dover convivere con la siccità e che attualmente metà della popolazione globale sta già facendo fronte alle problematiche derivanti dalla degradazione del suolo. La situazione non è infatti migliorata negli ultimi tempi: al contrario secondo i dati pubblicati dalla UNCCD (Convenzione delle Nazioni Unite per Combattere la Desertificazione) “dal 2000 il numero e la durata degli eventi siccitosi è aumentato del 29% a livello mondiale”. Le conseguenze umane sono già evidenti: 2.3 miliardi di persone fanno già fronte a emergenze legate all’accesso all’acqua. L’ONU sottolinea che sempre più persone dovranno far fronte alla scarsità di acqua, UNICEF ( United Nation Children’s Fund) stima che 1 bambino su 4 entro il 2040 non avrà accesso diretto alla risorsa acqua. “Nessun paese è immune alla siccità”  è ciò che è stato detto da UN-Water nel 2021.

Se queste informazioni non sono bastate a farci percepire come parte del problema e come popolazioni a rischio, ecco una serie di dati attuali sull’Italia che forse ci faranno cambiare idea.

Proprio in questi giorni si parla di emergenza siccità in tutto il Nord Italia, dal Veneto alla Lombardia alla Valle D’Aosta al Piemonte, la regione della valle del Po, ovvero la più colpita, ma in realtà è un problema comune in quasi tutta la penisola. Il portale Rinnovabili.it sottolinea come nei primi cinque mesi del 2022 le piogge si siano ridotte del 44% e come l’osservatorio ANBI (Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue) abbia denunciato l’importante diminuzione dei flussi dei fiumi Arno, Ombrone, Sentino, Nera ed Esino. In Lazio si è cominciato quindi a parlare di razionamento dell’acqua potabile, mentre nel comune lombardo di Tradate un’ordinanza comunale prevede sanzioni per chi utilizza l’acqua potabile per scopi diversi dall’uso essenziale come riempire piscine e lavare l’auto. Il caso della Puglia aggiunge il calo della produzione agricola e il rischio di incendi alla casistica di conseguenze possibili dovute alla siccità. La Gazzetta del Mezzogiorno, citando sempre i dati di ANBI, descrive come per via dell’anticiclone africano e della ridotta capacità idrica della regione (ad aprile sono caduti 160 millimetri in meno di pioggia rispetto ai valori del 2020) il rischio siccità sia molto elevato. Ciò, secondo Coldiretti Puglia, metterebbe a rischio il 30% di produzione agricola, la produzione di colture destinate agli animali e l’irrigazione di oliveti e frutteti. Coldiretti sottolinea poi come le alte temperature, l’assenza di precipitazioni e l’abbandono dei campi di ulivi per via del patogeno batterico Xylella siano un fattore determinante per l’inaridimento del suolo e delle piante e quindi un fattore che aumenta considerevolmente il rischio di incendi. 

Luca Mercalli, noto meteorologo, su Il Fatto Quotidiano sottolinea come secondo le previsioni meteorologiche a scala stagionale queste temperature sopra la media e la scarsità di precipitazioni saranno costanti per tutta l’estate. Ciò metterà a rischio le nostre riserve d’acqua già ad oggi limitate. Per questo motivo il climatologo denuncia la necessità di ascoltare la scienza. Infatti climatologi e idrologi avevano previsto questi fenomeni da almeno un trentennio. Inoltre, sempre il noto divulgatore suggerisce di preparare delle strategie di gestione multifunzionale a livello nazionale delle risorse idriche che prevedano la riparazione degli acquedotti e la costruzione di invasi di raccolta di acque meteoriche, abbondanti in certe stagioni, per utilizzarle durante i periodi di siccità.

Di fronte a questi dati non bisogna però scoraggiarsi. Al contrario, vi invitiamo a rileggere il primo paragrafo di questo articolo: “la desertificazione è causata prevalentemente dalle attività umane e dal cambiamento climatico”. Dunque, citando il Segretario Generale delle Nazioni Unite:  “dobbiamo e possiamo invertire questa spirale discendente”.

Secondo l’ONU la giornata del 17 giugno è un momento unico per ricordare che eliminare il danno causato dalla nostra società alla terra è possibile, attraverso un approccio “di problem-solving, un forte coinvolgimento della comunità e una cooperazione a tutti i livelli”. Prenderci cura della terra, della sua produttività, della biodiversità e per esempio favorire l’accesso alla proprietà terriera alle donne può inoltre permettere di far fronte alla crisi climatica e può contribuire al raggiungimento degli obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030, poiché ciò rappresenta anche un grande fattore di sviluppo per le comunità agricole e per le donne di tali comunità.

Qual è il messaggio principale che possiamo ricavare da questo articolo? Citando una famosa fiaba di Esopo, dovremo cominciare a pensare come la formica e smettere di pensare come la cicala. Dovremmo pensare al futuro e cominciare fin da subito a utilizzare in modo intelligente le risorse scarse che abbiamo a disposizione.

Fonti:

https://www.nature.com/articles/s41467-020-17710-7

https://www.un.org/press/en/2022/sgsm21325.doc.htm

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/1344333/siccita-in-puglia-57mln-metri-cubi-di-acqua-negli-invasi-ad-aprile-160mm-di-pioggia.html

https://www.un.org/en/observances/desertification-day

https://laprovinciapavese.gelocal.it/pavia/cronaca/2022/06/16/news/cia-e-confagricoltura-subito-lo-stato-d-emergenza-per-la-siccita-e-serve-un-commissario-straordinario-1.41515194

https://milano.corriere.it/notizie/lombardia/22_giugno_16/siccita-lombardia-regione-chiede-stato-emergenza-tradate-multe-chi-innaffia-giardini-lava-l-auto-8e767f54-ed69-11ec-96f8-928391ee2cf6.shtml

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/06/16/la-fisica-non-mente-ci-restano-10-anni/6628604/

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https://www.semidiscienza.it/2022/07/01/desertificazione-siccita-e-cambiamento-climatico-dobbiamo-iniziare-a-pensare-come-la-formica-di-esopo/feed/ 0