pesca – Semi di Scienza https://www.semidiscienza.it Tue, 29 Nov 2022 16:13:14 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8.10 https://www.semidiscienza.it/wp-content/uploads/2019/01/cropped-Semi-di-scienza-1-32x32.png pesca – Semi di Scienza https://www.semidiscienza.it 32 32 DDL SALVAMARE: TRAGUARDI E OBIETTIVI MANCATI DELLA LEGGE CONTRO I RIFIUTI IN MARE* https://www.semidiscienza.it/2022/05/26/ddl-salvamare-traguardi-e-obiettivi-mancati-della-legge-contro-i-rifiuti-in-mare/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=ddl-salvamare-traguardi-e-obiettivi-mancati-della-legge-contro-i-rifiuti-in-mare https://www.semidiscienza.it/2022/05/26/ddl-salvamare-traguardi-e-obiettivi-mancati-della-legge-contro-i-rifiuti-in-mare/#respond Thu, 26 May 2022 17:31:47 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=1678

di Tosca Ballerini

L’11 maggio il Senato ha approvato in via definitiva il cosiddetto “Ddl Salvamare” che prevede una gestione semplificata dei rifiuti accidentalmente pescati senza aggravio di costi e responsabilità per i pescatori e riconosce il ruolo delle associazioni ambientaliste nello svolgimento di campagne di pulizia del mare e delle acque interne.
Il Ddl però non pone un freno alla cattiva gestione delle foglie spiaggiate di Posidonia oceanica, aprendo al pericolo dello smaltimento come rifiuto di questa importante biomassa che è invece fondamentale per la protezione della biodiversità costiera e la protezione delle coste dall’erosione.

Un successo per il WWF

Il cosiddetto “Ddl Salvamare” sulla gestione dei rifiuti accidentalmente pescati è stato approvato in via definitiva dal Senato l’11 maggio dopo un lungo iter parlamentare iniziato nel 2019. Nell’Art. 2 prevede una gestione semplificata dei rifiuti accidentalmente pescati che sono stati riconosciuti come rifiuti urbani e possono essere conferiti a titolo gratuito presso gli impianti portuali, senza un aggravio di costi e responsabilità per i pescatori.
Questo riconoscimento è un successo per WWF Italia, che a tal fine dal 2019 ha portato avanti, in sinergia con le associazioni di categoria dei pescatori, un’intensa attività di interlocuzione con le forze parlamentari e con il Governo. Precedentemente, infatti, l’interpretazione del Ministero dell’Ambiente era che i rifiuti accidentalmente pescati fossero equiparati ai rifiuti delle navi, per i quali invece sono previste modalità di conferimento e rendicontazione specifiche, nonché il pagamento di una imposta. WWF ha dunque lavorato sul recepimento della Direttiva Europea 2019/883 sul conferimento dei rifiuti delle navi, avvenuto con il D. Lgs. 197/2021 (dove i rifiuti delle navi sono separati dai rifiuti accidentalmente pescati), e ora espressamente richiamato anche nel testo del Ddl Salvamare.
Domenico Aiello, avvocato Responsabile tutela giuridica della Natura WWF Italia, dice a Materia Rinnovabile che la Legge Salvamare era “necessaria per risolvere il problema interpretativo, ma poteva essere scritta meglio. Adesso deve essere applicata e il soggetto che dovrà applicarla avrà un problema interpretativo perché il testo del’Art. 2 non è chiaro”. Al comma 1 dell’Art. 2 infatti, i rifiuti accidentalmente pescati sono ancora equiparati come rifiuti delle navi, è solo al comma 5 e 6 che sono definite modalità di conferimento e che vengono equiparati ai rifiuti urbani. L’avvocato spiega inoltre che, se non fosse stato per l’interpretazione non corretta della Direttiva Europea 2019/883, non sarebbe stato necessario scrivere una nuova legge, perché la formulazione del Codice dell’ambiente era già di per sé idonea a equiparare i rifiuti accidentalmente pescati ai rifiuti urbani. Durante le audizioni in Parlamento il WWF aveva infatti fatto proposta emendativa dell’art. 183 del Testo Unico Ambientale dove sono definiti i rifiuti urbani. Sarebbe bastato aggiungere dopo “rifiuti di qualunque natura o provenienza […] sulle spiagge marittime” le parole “e i rifiuti accidentalmente pescati” e si sarebbero evitate incertezze interpretative.
Tuttavia, ricorda l’avvocato, il Ddl Salvamare è importante perché istituzionalizza le campagne di pulizia di rifiuti e riconoscere il ruolo delle associazioni ambientaliste (Art. 3 del Ddl), oltre a prevedere le raccolte di rifiuti lungo i fiumi (Art. 6). I rifiuti raccolti durante le campagne di pulizia e sui fiumi potranno essere conferiti con le stesse modalità dei rifiuti accidentalmente pescati.

Ora servirebbero sgravi fiscali per i pescatori

È d’accordo che non sarebbe stata necessaria una nuova legge per consentire ai pescatori di riportare a terra i rifiuti incidentalmente raccolti in mare Gianfranco Amendola, ex magistrato ed esperto in normativa ambientale. “La principale cosa che non è esatta [attorno alla discussione sul Ddl Salvamare] è che si diceva che i pescatori erano costretti a ributtare a mare i rifiuti pescati incidentalmente perché rischiavano una sanzione per trasporto non autorizzato di rifiuti speciali. Ma questo non è vero quando si riferiva a rifiuti accidentalmente pescati”, spiega l’ex magistrato, che in passato aveva proposto di risolvere il problema di tali rifiuti tramite delle ordinanze specifiche da parte dei comuni.
Secondo Amendola il problema adesso è di vedere quanto tempo ci vorrà prima che la legge diventi operativa e dice a Materia Rinnovabile che “ci vorrebbero soldi per i comuni e sgravi fiscali per i pescatori da dare subito, in funzione di quanti rifiuti portano a terra.
Sauro Pari, presidente di Fondazione Cetacea e da anni impegnato in progetti di Fishing for litter con i pescatori tramite progetti europei come Clean Sea Life e Marles, accoglie con favore l’approvazione del Ddl Salvamare e dice a Materia Rinnovabile che si potrebbe pensare di prevedere un minimo di rimborso spese per i pescatori, che i giorni in cui non vanno a pesca potrebbero andare a pescare rifiuti”.

E le microfibre?

Secondo WWF Italia è “incomprensibile” la soppressione dell’art.12 introdotto durante il precedente esame al Senato, poi eliminato nel passaggio alla Camera, prima di passare nuovamente al Senato per l’approvazione definitiva del DDL. L’articolo recava disposizioni in materia di prodotti che rilasciano microfibre volte in particolare a prescrivere obblighi di etichettatura per i prodotti tessili o di abbigliamento che rilasciano microfibre al lavaggio.
“Pensiamo che sarebbe stato molto utile dal punto di vista dell’informazione al cittadino, che avrebbe potuto scegliere di lavare i capi sintetici che rilasciano microfibre a mano invece che in lavatrice” dice Aiello. “Non dobbiamo tutelare il mare solo dalle macroplastiche, perché anche le microfibre sono un problema molto serio”. Secondo uno studio sulla rivista scientifica Marine Pollution Bullettin, per un carico di lavaggio medio di 6 kg potrebbero essere rilasciate nelle acque di scarico oltre 700mila microfibre a lavaggio, rappresentando una fonte importante di inquinamento da microplastiche per gli ambienti acquatici.

Per salvare il mare: dal Plastic Free al Plastic No More

“Il nome della legge è molto bello. Ma in realtà è solo un nome. Chi è che non vuole salvare il mare? Veniamo dal mare, respiriamo il mare. È una cosa bellissima. Hanno trovato un nome semplice, banale ed efficace” dice a Materia Rinnovabile Silvio Greco, biologo marino e dirigente di ricerca alla Stazione Zoologica A. Dohrn, che per 24 anni ha condotto ricerche scientifiche sulle specie ittiche a bordo di pescherecci. “Noi abbiamo sempre raccolto rifiuti di plastica. Il problema è che si raccolgono bottiglie, sedie, teloni, rifiuti di grandi dimensioni, tutti oggetti che rientrano in quelle che chiamiamo macroplastiche. Il problema è che non possiamo rimuovere in alcun modo le microplastiche e le nanoplastiche, che ormai si trovano nel corpo degli organismi viventi. Le persone dovrebbero sapere questo” dice il ricercatore, ricordando che vari tipi di polimeri plastici e di additivi a essi associati sono stati ritrovati non solo nelle feci, ma anche nella placenta, nel sangue, e nei polmoni della nostra specie.
“Il modo per risolvere il problema dei rifiuti plastici è semplice: smettere di produrre nuovi oggetti in plastica. Dobbiamo passare dal Plastic Free al Plastic No More” dice il ricercatore. “Dobbiamo evitare assolutamente che la plastica arrivi a mare. Per evitare che arrivi al mare dobbiamo abbandonare il monouso. Se non riduciamo la produzione di plastica e non aumentiamo il riutilizzo non arriveremo mai a risolvere il problema dell’inquinamento da plastica”. Secondo Greco l’Italia dovrebbe anche “fare chiarezza” sul recepimento della Direttiva europea sulle plastiche monouso SUP, nel quale ha introdotto esenzioni per alcuni prodotti monouso prodotti con bioplastiche con caratteristiche di biodegradabilità e compostabilità. Un recente studio scientifico condotto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche assieme ad altri partner conferma studi precedenti che avevano mostrato che anche le bioplastiche si degradano lentamente nell’ambiente naturale, con tempi molto più lunghi di quelli che si verificano in condizioni di compostaggio industriale.

La posidonia oceanica: un tesoro ecologico, non un rifiuto

L’Art. 5 del Ddl Salvamare include norme in materia di gestione delle biomasse vegetali spiaggiate. WWF Italia nota che permangono delle importanti lacune sulla gestione delle biomasse vegetali, perché non viene posto freno alla cattiva gestione delle cosiddette banquette, cioè gli accumuli sulle spiagge di foglie morte di posidonia oceanica.
La posidonia oceanica è una pianta marina endemica del Mediterraneo, che svolge un ruolo ecologico chiave per la produzione di ossigenosequestro del carbonio, creazione di habitat riproduttivi per le specie ittiche. Lo spiaggiamento delle foglie di posidonia oceanica è un fenomeno naturale e le banquette sono strutture naturali che contribuiscono alla costruzione dell’habitat dunale e proteggono le coste dall’erosione. Sono tutelate ai sensi del Protocollo relativo alle Aree Specialmente Protette e alla Biodiversità del Mediterraneo, sottoscritto dall’Italia nell’ambito della Convezione di Barcellona per la protezione del Mediterraneo dai rischi dell’inquinamento. “Gli emendamenti sulla gestione delle biomasse vegetali sono stati introdotti in fasi successive della discussione del Ddl rispetto al nostro coinvolgimento iniziale nel 2019 per la definizione di rifiuti urbani, e come WWF Italia non siamo stati coinvolti”, precisa l’avvocato Aiello.
“La gestione delle foglie spiaggiate di posidonia oceanica è già disciplinata da linee guida di ISPRA e in generale si deve stare attenti a non considerarle come dei rifiuti, perché invece sono importantissime per prevenire l’erosione costiera”Secondo il legale il testo dell’art. 5 non è chiaro e questo è “preoccupante” perché la sua interpretazione consente di aprire in maniera molto forte allo smaltimento delle banquette, in quanto l’articolo dice che se ne ha la facoltà. Per ragioni di tempo può essere più conveniente per le amministrazioni comunali rimuovere le foglie spiaggiate invece che gestirle secondo le Linee Guida per la Spiaggia Ecologica redatte da ISPRA, spiega Aiello.
Il WWF auspica che questi punti siano oggetto di successivi interventi del legislatore, con l’obiettivo di dare concreta attuazione ai nuovi principi costituzionali di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi.

*articolo apparso precedentemente su https://www.renewablematter.eu/

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The Blue Acceleration https://www.semidiscienza.it/2020/01/29/the-blue-acceleration/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=the-blue-acceleration https://www.semidiscienza.it/2020/01/29/the-blue-acceleration/#respond Wed, 29 Jan 2020 13:50:28 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=807 La finanza e la pressione sulle risorse ittiche

Un team di ricercatori dello Stockholm Resilence Centre della
Stockholms Universitet ha appena diffuso lo studio
“The Blue Acceleration: The Trajectory of Human Expansion
into the Ocean”, il cui autore principale è Jean-Baptiste Jouffray,
che lavora anche per il Global Economic Dynamics and the
Biosphere Academy Programme dell’Accademia Svedese
delle Scienze. Questo studio documenta la continua accelerazione
dell’enorme pressione che gli esseri umani esercitano sugli
oceani in termini di sfruttamento di risorse (idrocarburi, sabbia,
ghiaia, pesce, minerali, turismo, trasporti marini, dissalazione, ecc).

Jouffray è anche l’autore dello studio “Leverage points in the
financial sector for seafood sustainability”, pubblicato nel
2019 su Science Advances, dal quale risulta che sebbene
quasi il 90% della pesca mondiale sia ormai pienamente
sfruttata o sovrasfruttata, e si preveda che la domanda di
pescato cresca del 70% entro il 2050, dall’esame di quasi
un decennio di informazioni “non è stato possibile trovare
notizie di un solo prestito bancario all’industria ittica che
includesse criteri di sostenibilità”.

I prestiti bancari sono il modo principale con il quale le
compagnie ittiche finanziano le loro operazioni. Derivano
da accordi tra un prestatore e un mutuatario (Loan Covenants)
e vietano al mutuatario un certo comportamento: se venissero
incorporati dei criteri di sostenibilità nei Loan Convenants, le banche
potrebbero svolgere un ruolo chiave nel promuovere una rapida
trasformazione verso pratiche sostenibili, e le regole di quotazione
in borsa potrebbero ridurre significativamente la pressione sulle
risorse ittiche.

La maggior parte delle società presenti in borsa tra le 100 più grandi
aziende ittiche del mondo sono quotate in una manciata di borse:
la sola Tokyo Stock Exchange concentra il 53% delle entrate
delle compagnie ittiche quotate, mentre le quattro maggiori
(Tokyo, Oslo, Corea e Thailandia) rappresentano insieme l’86%.

Dallo studio “Transnational Corporations as ‘Keystone Actors’
in Marine Ecosystems” pubblicato su PLOS ONE nel 2015,
risulta che 13 Corporations controllano l’11–16% della pesca
marittima globale, e il 19–40% degli stock ittici più grandi e
preziosi del mondo.

DA CONSULTARE:

Jouffray et al., 2020, “The Blue Acceleration:
The Trajectory of Human Expansion into the Ocean”
http://dx.doi.org/10.1016/j.oneear.2019.12.016

Press release dello studio
https://www.sciencedaily.com/releases/2020/01/200124112931.htm

Recensione in italiano dello studio
http://www.greenreport.it/news/energia/blue-acceleration-la-pressione-umana-sugli-oceani-non-mostra-nessun-segno-di-rallentamento/
che riporta dati, riferimenti e spiegazioni anche a proposito dei
succitati “Transnational Corporations as ‘Keystone Actors’
in Marine Ecosystems”
https://doi.org/10.1371/journal.pone.0127533
e “Leverage points in the financial sector for
seafood sustainability”
https://advances.sciencemag.org/content/5/10/eaax3324

Il Team di Cambiamo (http://www.cambiamo.org/html/index.php) in collaborazione con il team di Semi di Scienza

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Pesca illegale e futuro dei nostri mari https://www.semidiscienza.it/2019/06/04/pesca-illegale-e-futuro-dei-nostri-mari/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=pesca-illegale-e-futuro-dei-nostri-mari https://www.semidiscienza.it/2019/06/04/pesca-illegale-e-futuro-dei-nostri-mari/#respond Tue, 04 Jun 2019 20:28:37 +0000 https://www.semidiscienza.it/?p=562 Domani, 5 giugno, si celebra la seconda Giornata Internazionale per la lotta alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN), proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 2017 (https://undocs.org/A/RES/72/72).
Il 5 giugno 2018 è diventato vincolante a livello mondiale il primo trattato internazionale volto a combattere specificamente la pesca illegale, trattato a cui hanno aderito 30 Paesi membri delle Nazioni Unite.

Ad oggi nell’ordinamento italiano, tale attività è sanzionata a livello penale ed amministrativo dal decreto legislativo 4/2012 come modificato dalla legge 154/2016, con arresto, ammenda e sanzioni pecuniarie (amministrative), nonché sanzioni accessorie quali la confisca e la sospensione della licenza di pesca.

Ma di cosa si tratta e perché è importante contrastarla?

Per pesca illegale si intende quella svolta in violazione della normativa vigente, nazionale, europea ed internazionale (sia per quanto riguarda la pesca svolta in modo professionale che per quella sportiva). Più nello specifico, ma senza addentrarsi del dettaglio, costituisce violazione:

  • pescare senza licenza o autorizzazione;
  • pescare organismi di cui è vietata o sospesa la cattura (ad esempio delfini, tartarughe Caretta, storione, cavalluccio marino…);
  • pescare pesci di taglia inferiore a quella minima consentita – con l’obbligo di rilasciarli in mare;
  • pescare con attrezzi o tecniche non conformi o non autorizzati (ad esempio usando reti spadare o pescando a strascico);
  • pescare con l’utilizzo di esplosivi, energia elettrica e sostanze tossiche;
  • pescare in zone e tempi in cui è vietato (durante il fermo pesca, ossia il blocco delle attività di pesca per permettere la riproduzione degli organismi, perlopiù nei mesi estivi);
  • pescare in acque sotto la sovranità di altri Stati (salvo accordi o autorizzazioni) o sottoposte alla competenza di organizzazioni;
  • sottrarre il pescato da attività di pesca altrui;
  • raccogliere, trasbordare, trasportare e commercializzare gli organismi catturati secondo i punti precedenti.

La tutela degli oceani e dei mari è essenziale per garantire il benessere economico, sociale e ambientale sia a livello mondiale che locale. Nel momento attuale la maggior parte delle riserve ittiche sono già sfruttate al massimo o sovrasfruttate da attività del tutto legali (tra sovrapesca, acquacoltura e scarto eccessivo) e la pesca illegale costituisce un’ulteriore punto di criticità in un quadro già di per sé allarmante.
Le sue conseguenze, infatti, si possono individuare nell’aumento dell’impoverimento degli stock ittici (già causato in parte dall’inquinamento e in parte dal prelievo continuo a un ritmo che non consente la riproduzione delle popolazioni acquatiche), nel danneggiamento degli ecosistemi e nella riduzione della biodiversità (provocando il rischio estinzione di alcune specie, come tonno rosso e pesce spada), nella grave concorrenza sleale nei confronti dei pescatori onesti e nell’indebolimento delle comunità costiere, specie nei Paesi in via di sviluppo ove spesso le comunità si reggono sul mercato del pesce e da cui proviene più del 50% delle importazioni.

Secondo i dati ONU e FAO (http://www.fao.org/state-of-fisheries-aquaculture/en/), che non mancano di sottolineare l’insostenibilità della pesca e l’urgenza di misure, le catture sono talmente consistenti da compromettere una pesca sostenibile e una gestione responsabile delle riserve ittiche di tutto il mondo, il che ci permette di parlare di un vero e proprio “saccheggio” delle nostre acque.
Alla luce di ciò, l’Obiettivo 14 dell’Agenda 2030 richiama la necessità di “conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile”.
Il ripristino della legalità nella pesca è quindi indispensabile non solo per il recupero degli ecosistemi marini ma anche per una pesca realmente sostenibile.

Il mare non è res nullius ma un bene comune da cui dipende anche il nostro futuro.

Stefania Pugliesi – giurista e criminologa

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